A ben vedere, nel secolo scorso (il XX, per intenderci) la filatelia si è sempre più chiusa in se stessa, erigendo sbarramenti e patenti di nobiltà e regolamenti sempre più rigidi e asfittici, che hanno finito per relegarla in una sorta di ghetto: ricco e snob quanto si vuole, ma pur sempre un ghetto. Basta guardare volumi e riviste e resoconti di esposizioni di fine ‘800 per notare come il collezionismo postale spaziasse allora a tutto campo, e anche oltre: dal francobollo all’intero postale alle bollature, dall’esame tecnico del francobollo allo studio delle fonti normative e alle ricerche d’archivio, dagli oggetti di corrispondenza fino a tutto ciò che poteva ricordare francobolli, bolli e interi postali. Con un piacere per la ricerca e la scoperta personale che era il primo e più eccitante stimolo a entrare nell’agone filatelico. E nessuno allora si sarebbe permesso di guardare con degnazione chi avesse deciso di raccogliere marche municipali (il relativo catalogo dopotutto era firmato da un Diena) o di incentrare la sua collezione su un particolare soggetto (anche se allora il 90% delle vignette era fatto da effigi reali, stemmi e cifre).
Il guardare con supponenza le raccolte tematiche, come se fossero cosa da ragazzini, è cosa molto più recente: il divertente è che sovente a pensarla così sono collezionisti che stravedono per ripetitive varietà di stampa e dentellatura, o per il numero di esemplari di diverso colore che appaiono su una stessa busta. E non si accorgono che di per sé il collezionismo tematico ha pari dignità rispetto alla filatelia più tradizionale, visto che varia semplicemente la base della scelta dei pezzi da mettere in raccolta: anziché un Paese o un territorio in un certo arco temporale si pone la ragione dell’emissione, oppure testi e immagini che compaiono nelle carte valori o nei bolli postali. Se un lato negativo può esservi, questo sta nell’eccesso di enfatizzazione della parte non postale, che porta francobolli, bolli ecc. a diventare semplici illustrazioni, figurine magari marginali e di scarsa evidenza: cosa che peraltro si verifica anche nella filatelia più tradizionale quando prende il sopravvento l’interesse per elementi puramente grafici, o statistici o economici, che nulla hanno a che spartire col servizio postale, la sua storia, la sua evoluzione.
Senza contare che — l’ho sempre detto — i migliori collezionisti di storia postale sono, o possono essere, proprio i collezionisti tematici, o almeno i tematici più attivi. Perché col tempo acquistano un’abitudine a esaminare, ordinare, sviscerare tutti i possibili aspetti di un determinato tema, a cercare dati informazioni riscontri nei più diversi settori dello scibile, a selezionare i pezzi più adatti a mostrare uno specifico risvolto del tema trattato spaziando in tutti i campi della filatelia e della storia postale. In parole povere, il collezionista tematico è allenato a usare cervello e inventiva, a non essere schiavo del materiale che raccoglie ma a studiarlo e spiegarlo senza limiti di spazio o temporali.
E poi, a dire la verità, l’articolo con cui Bonacina esamina “Il volto del potere” è tutt’altro che tematico. Si tratta infatti di uno studio del francobollo visto da un’angolatura nuova, del tutto diversa da quella — alquanto semplicistica e limitativa — imposta da un certo mondo filatelico. Analizzare il francobollo come carta-valore ufficiale, e perciò soggetta alla politica e alle sue necessità di comunicazione e di condizionamento, così che esigenze postali e momento storico confluiscono in un tutt’uno, non è forse esaminarlo da una prospettiva storico-postale?
Se la storia postale ha un senso anche in filatelia, è proprio quello di farci capire meglio i francobolli: non semplici pezzi di carta stampati, gommati e magari dentellati, ma oggetti ufficiali con precise caratteristiche funzionali, grafiche, artistiche e istituzionali, e perciò degni di essere studiati, descritti, collezionati.
Certo, per i filatelisti più tradizionali del giorno d’oggi, che pensano ancora che la storia postale voglia dire francobolli su busta, l’idea di esaminare la storia della posta e del francobollo sotto angolazioni nuove e diverse può sembrare un’eresia. Anche perché dovrebbero ammettere che, da un punto di vista espositivo, in molti casi l’obbligo di mostrare solo pezzi su busta risulta un non-senso. Ve la vedete una Storia dei rapporti tra politica e carte-valori postali realizzata secondo le norme FIP per le collezioni di storia postale?
Ma gli autolimiti della filatelia XX secolo non sono solo questi. Come disse giustamente irritato il professor Guderzo dopo aver assistito a una lunga conferenza sulle poste in periodo napoleonico in cui il relatore aveva mostrato centinaia di diapositive con bolli del periodo, “la storia delle poste non è fatta solo di bollature, perbacco!” Né di francobolli o di interi postali, aggiungo io.
Una delle asserzioni più comuni nel mondo filatelico — quasi un modo di dire — è che in filatelia le possibilità sono praticamente infinite. Ciascuno di noi, se solo vuole, può farsi una collezione o ritagliarsi uno spazio di studio del tutto vergine, differente, personale. Poi però nella realtà finisce che, grazie a tradizioni e abitudini e condizionamenti (come i regolamenti internazionali), tutti fanno le stesse collezioni, e l’originalità consiste solo nelle ovvie diversità dei pezzi presenti. Mentre le ricerche — di cui tanto si parla — spesso si fermano ad aggiornare qualche dettaglio di volumi e articoli precedenti, o ad elencare la consistenza numerica di un certo francobollo in blocchi o col tale annullo, o di corrispondenze con l’affrancatura formata da certi francobolli.
E forse non è neppure solo questione di pigrizia, di tempo, di convenzioni e condizionamenti. Forse è questione di personalità. I collezionisti attivi si dividono probabilmente in due sole classi: i competitivi e gli innovativi. I primi, la maggioranza, sono felici di fare ciò che già altri hanno fatto, per avere qualcosa di preciso su cui confrontarsi, e il loro maggior impegno sta nell’aggiungervi qualcosa in più (pezzi, soldi, talvolta intelligenza) per riuscire a mettersi in evidenza. I secondi invece cercano di battere strade nuove, oppure esaminare le strade già battute con un’ottica nuova, perché vogliono essere i primi se non gli unici.
Non occorre poi molto, in realtà, per addentrarsi su sentieri nuovi o poco battuti: basta guardarsi intorno senza pregiudizi. Né un tema insolito è necessariamente un argomento di scarso interesse, poco suggestivo, o destinato a pochi. A dimostrarvelo vi sono gli altri tre articoli di questo numero, senza contare i vari “spunti e appunti” e le recensioni di volumi apparentemente – ma solo apparentemente — lontani dalla posta e dalla filatelia.
Non trovate interessante scoprire che nei pacchi postali a fine ‘800 esisteva il porto assegnato, ovvero a carico del destinatario, e proprio per combattere la concorrenza privata? Non vi incuriosisce il settore dei telegrafi, con i suoi “preamboli” dalle strane sigle, le sue regole, i suoi servizi come il marconigramma o la lettera radiomarittima, e tutto un mondo di documenti, tariffe, usi ancora così vergine e tutto da scoprire, spesso con poca spesa? E che ne dite di approfondire la “lettura” delle corrispondenze viste come momento di contatto interpersonale, fatto di convenzioni, di cerimoniali, di abitudini che — seppure variate nei secoli — non sono per nulla scomparse (come ha sintetizzato molto bene un francobollo inglese del 1996, stile vignetta umoristica, con l’omino che sogghigna firmandosi “sinceramente”)?
In un mondo sempre più globalmente anonimo su cui regna una nuova borghesia piccola piccola fatta di ricchi e di quasi poveri, di industriali e impiegati, di operai e intellettuali, per i quali la virtù sta nella mediocrità e nel già visto (così tutti possano capire, e soprattutto comprare) e l’ideale è il riccofurbastro che si è fatto con le sue mani (ma senza lasciare impronte, come giustamente ha specificato Altan), il fatto di tentare strade nuove, inconsuete, personali e per puro piacere può essere persino guardato con sospetto. Anzi peggio, può essere giudicato fuori moda, o fuori mercato. Ma proprio per questo, in fin dei conti, risulta tanto più stimolante. Perché il collezionismo dopo tutto è un modo per controbattere la realtà, crearci un angolo tutto nostro, in una parola sognare. E che sogno è se ci facciamo condizionare anche quello?
Pensare con la nostra testa oppure seguire strade insolite, snobbate, inesplorate, sono due modi per uscire dall’angusto sgabuzzino di certa filatelia ed entrare nel vasto, suggestivo giardino del vero collezionismo. Anzi, di più, visto che il passato della posta e del francobollo lo consente: per entrare nel mondo della storia, dell’arte, della politica, del costume.
E volare alto negli spazi aperti della novità, della ricerca libera e personale, del piacere sottile di scoprire cose che gli altri non hanno mai visto. Di cui spesso non immaginano neppure l’esistenza!