L’ho già detto altre volte: noi vecchi filatelisti abbiamo fatto il nostro tempo. Purtroppo noi siamo abituati a una filatelia che sta scomparendo non solo a causa della tecnologia e delle nuove realtà socio-politiche ma anche per via dei suoi stessi successi e delle sue stratificate manie.
È dal secondo dopoguerra che la filatelia è cambiata sotto i nostri occhi, e non ce ne siamo minimamente accorti: si è evoluta, pensavamo, poiché dal semplice raccogliere i francobolli di uno Stato (gli interi postali no, manco se ne parlava più negli anni ’50-80!) si era passati alla raccolta in base al soggetto (come si diceva allora) o al tema e alle diciture della vignetta, e poi anche alla storia postale, come fu chiamata la raccolta delle “buste”, specie se con francobolli, combinazioni e/o bolli poco normali, da sgolosarci su.
In realtà non c’era nulla di nuovo: già nell’Ottocento e nel primo Novecento c’era chi collezionava in base alla vignetta — vedute esotiche o testoni di Sicilia poco importa, dopotutto! — oppure raccoglieva lettere & co., sia per documentare la storia sia semplicemente per avere più garanzie sull’annullo e le relative date, tanto più che allora francobolli e interi postali dovevano essere preferibilmente usati. A pensarci bene, non era evoluzione ma semplicemente sfruttamento di altri settori e metodi collezionistici: soprattutto da parte delle Amministrazioni postali nel caso della scelta tematica, visto che permetteva di vendere di più e aumentare così il proprio mercato; da parte dei collezionisti e dei commercianti nel caso della storia postale, dato che consentiva diverse nuove possibilità di vendite, club, articoli, gare, affermazioni uscendo dall’ormai troppo costoso mondo dei francobolli rari (“Se non spendi un centinaio di milioni l’anno, te li sogni i gran premi,” diceva all’epoca il gran capo della Federazione!). E sono gli stessi motivi di esclusività che hanno poi portato a “scoprire” anche le varietà più banali, le posizioni di filigrana, i codici a barre, le destinazioni et cetera.
La vera grande novità era un’altra: l’affermarsi dell’idea di fare affari e investimenti con i francobolli. Un’idea che esplose nella prima metà degli anni ’60, e ricordo ancora a un convegno romano diversi giovani neo-commercianti filatelici improvvisati che si passavano pacchi di novità, soprattutto vaticane, a prezzi che erano sempre un po’ più alti a ogni passaggio. Purtroppo fra l’entusiasmo del mercato filatelico di allora, e delle riviste che facevano a gara per dare notizie degli aumenti (ne sorsero persino di nuove, e una piena di elenchi divenne persino settimanale!).
Poi la “bolla” filatelica scoppiò, e fragorosamente, lasciando molti commercianti, collezionisti e investitori con in mano un “cerino” fatto di fogli di francobolli che nessuno voleva (dato che ce l’aveva già!) neppure con sconti faraonici sul valore facciale. Ma l’idea dell’affarone in francobolli rimase ben viva. A continuarla furono i molti che non sanno parlare e scrivere d’altro che non siano pezzi rari e relative ipervalutazioni e vendite strepitose alle aste nonché premiazioni alle internazionali, come se la filatelia non fosse altro che quello: non un passatempo, una passione, magari una scienza oppure un’affermazione personale di intelligenza e creatività, ma solo una questione di money, grana, sghei, soldoni, e portafogli.
È un’impostazione meramente mercantile che nel nuovo millennio ha finito per scontrarsi con le nuove tecnologie, a cominciare dall’informatica, che consentono di divertirsi e di occupare il proprio tempo in modo sempre diverso e molto più attuale (anche se talvolta solo in apparenza) e sovente con minima spesa e ancor minor fatica cerebrale: altro che mettere in fila pezzetti di carta più o meno rari in un album! E anche quando ricevono francobolli e collezioni in regalo o in eredità, i giovani d’oggi pensano sùbito a venderseli (l’italico foglietto dei diciottenni docet!).
In più questa impostazione mercantile si scontra oggi con realtà socio-politiche oggettivamente molto cambiate, che pongono seri problemi non solo al mantenimento delle posizioni ma soprattutto a un ricambio generazionale: con gli stipendi che circolano e le attuali difficoltà a trovare un lavoro (soprattutto per i più giovani) dove sono i soldi necessari per occuparsi di filatelia non dico “alta”, ma neppure “medio-bassa”? Spesso persino gli sconti più eclatanti non riescono a convincere all’acquisto, neanche a fronte della rarità. Specie se si tiene conto che già negli anni d’oro molte quotazioni di pezzi insoliti erano montate, e ho potuto verificare personalmente che all’atto pratico la richiesta scendeva anche a un quarto e oltre!
C’è da meravigliarsi se la filatelia oggi sta perdendo qualche colpo e a un certo livello è diventata predominio dei Paperon de’ Paperoni che però — per fortuna dei grandi mercanti e delle case d’asta — le statistiche danno in crescita, insieme al numero dei poveri. E anche questo è un dato da tenere in considerazione.
Ma se il fenomeno filatelia sta cambiando e in pratica torna anch’esso all’Ottocento, quand’era un passatempo da re, nobili e ricca borghesia (anche da ragazzini, solo che al giorno d’oggi questi ultimi non trovano nemmeno più la materia prima collezionabile sulle sempre più rare corrispondenze), a non cambiare è il mondo del collezionismo: che al massimo tenta di modernizzarsi con trovatine di marketing come nuove collezioncine o nuovi materiali, formati, agghindaggi delle novità. Servirebbero — ancor prima delle idee — strategie realmente innovative per catturare l’attenzione e l’interesse dei giovani fra i 18 e i 50 anni verso il mondo postale e delle comunicazioni, la sua storia, i suoi reperti, i suoi prodotti.
E continuo a pensare che queste nuove strategie non possono incentrarsi che sull’aspetto storico e culturale che la posta ha avuto nei secoli e tuttora possiede, anche se in forme talvolta diversissime. Ma è inutile che io formuli proposte: l’abitudine del vecchio mondo filatelico al silenzio le rende automaticamente inutili, valide o banali o assurde che siano.
In pratica non mi resta che passare il testimone ai “giovani” di cui sopra: il futuro è dei giovani e spetta ai giovani costruirselo. Tutto ciò che posso fare è passar loro quel bagaglio di conoscenza sulla posta e sulle carte-valori che ho accumulato in quasi mezzo secolo, da quando ero uno di loro e come loro con tanta voglia di fare e tanti problemi di portafoglio, anche se mi trovavo in un mondo più semplice o solo più sempliciotto. A loro poi stabilire che cosa fare del mio lascito.
Il primo sistema che sto seguendo per realizzare questo travaso è il Novellario, ovvero un’opera di sintesi tra filatelia e posta, storia ed essenzialità, informazione e mercato, che — come ho sempre detto — avrei voluto avere io tra le mani quand’ero agli inizi. Poi Il travaso si arricchisce con i nuovi orizzonti accademici di Storie di Posta. Chissà che non riesca a centrare il mio obbiettivo.
Franco Filanci
(da Storie di Posta ns n. 13, maggio 2016)