La caratteristica e il limite della filatelia sono di occuparsi del francobollo fuori del suo contesto. Questa è la constatazione a cui sono giunto ieri mattina, all’improvviso, dopo una vita di felice collezionismo tra francobolli, interi postali, segnatasse, oggetti e moduli postali, e via raccogliendo.
Non ci avevo mai fatto caso, ma è la verità: l’abitudine filatelica è di considerare e/o studiare il francobollo non nel suo insieme, e inserito nella vita postale, sociale, culturale del momento, ma sotto un singolo e particolare aspetto.
Il primo elemento a essere preso in attenta e spesso esclusiva considerazione dagli appassionati è la vignetta, non tanto per giudicare se piaccia o meno quanto per approfondire quello che raffigura, il suo autore, come è incisa, il tipo di stampa e gli eventuali acciacchi e incidenti occorsi durante la produzione, la tonalità di colore, gli annulli e i timbri che ci sono finiti sopra, se la stampa è più o meno fuori registro, se è affiancata da bandella o se vi sono bandelle, o diciture, fregi, croci, stemmi o illustrazioni marginali. E c’è chi si ferma lì.
C’è invece chi bada poco alla vignetta, data per scontata, e bada esclusivamente ai materiali di cui il francobollo è fatto, in particolare la carta. A interessare è soprattutto la filigrana, quando c’è; com’è fatta, come può variare di forma, come si posiziona rispetto alla vignetta (alta, bassa, destra, sinistra, capovolta, sdraiata, speculare, i termini abbondano), se è contornata di altri segni o diciture e in che misura possono comparire in un esemplare.
È c’è chi si dedica in particolare alla dentellatura, se è a blocco, lineare, a pettine, a zig zag e via perforando, quanti fori o tratti ci stanno nello spazio filatelico standard di 2 centimetri (con più decimali possibile), se sono allineati e ben impressi; e ora con la fustellatura anche se il dentello è per il verso giusto.
E infine ci sono i cosiddetti ‘storici postali’ che si occupano del francobollo soltanto se è attaccato a qualcosa e annullato, possibilmente insieme ad altri valori di tipo e colore diverso, così da consentire laboriosi conteggi sulla consistenza e congruità e policromia dell’affrancatura in base al possibile peso, a eventuali servizi e alla destinazione, di preferenza esotica e incredibile per l’epoca. Quale sia la storia (postale, artistica e sociopolitica) del francobollo, che cosa vi figuri sopra, spesso nascosto da un annullo coprente, che filigrana o che dentellatura abbia, sono cose che non interessano, a meno che non si configuri qualche variante e varietà o non compaia qualche bollo raro che ne aumenti il valore commerciale.
In pratica sono ben pochi quelli che considerano complessivamente tutti i vari aspetti del francobollo tenendo conto del contesto postale, artistico e sociopolitico in cui e per cui ciascuna carta-valore è nata. In questo modo i tanto amati francobolli vengono trattati alla stregua di semplici figurine. Magari antiche, classiche, rare se non uniche, ma sempre figurine. Della filatelica serie “Io di Crocette ne ho tre, tutte nuove e perfette, più una su busta!”.
A ben guardare è proprio da qui, da questo considerare le carte-valori (così come anche i bolli e tutto il resto) fuori del loro contesto, che discende il problema che pare stia intralciando oggi la filatelia: la mancanza di nuovi appassionati. Perché l’esplosione tecnologica di fine Novecento ha portato a innovazioni che hanno cancellato vecchie tecniche e abitudini, e in breve anche la loro conoscenza e memoria.
Quei francobolli che in gioventù ci colpivano con le loro immagini, parlandoci di persone, cose, luoghi vicini e lontani nel tempo e nello spazio, erano anche il risvolto di tempi in cui libri e riviste erano più scarsi, circolavano meno, e comunque offrivano illustrazioni limitate nel formato e soprattutto nel colore, per problemi di costi e di stampa a registro; persino periodici a larga diffusione stampavano le copertine in tricromia, per contenere i costi. C’era il cinema, ma ancora solitamente in bianco e nero, così come per lungo tempo la televisione. Ora siamo tempestati di immagini strepitosamente suggestive e a colori – se non anche tridimensionali – da stampa, cinema, tv, depliant, manifesti e poster affissi in ogni dove, e persino i più anziani si sono dimenticati di quando ci si appassionava alle storie a fumetti di Tex, di Topolino e di Jacovitti anche quando erano in bianco e nero su piccoli libretti a striscia in carta di pessima qualità. E allora perché mai uno dovrebbe interessarsi a un aggeggio recante un’illustrazione di formato ridotto, magari monocroma e su un argomento che spesso non conosce? Per di più un’illustrazione che gli arriva da un oggetto di cui spesso non conosce nemmeno la funzione.
Per di più le nuove tecnologie hanno reso inutili e fatto sparire – persino dai francobolli – anche elementi un tempo importanti sul piano della sicurezza e della comodità, come la filigrana e la dentellatura. Le tecniche automatizzate a livello elettronico delle grandi stamperie, unite alla ridotta circolazione dei francobolli, sono oggi tali da rendere superflui i sistemi di sicurezza cartacei, e i francobolli autoadesivi hanno a loro volta portato a superare i vecchi tipi di perforazione. Allora perché mai un giovane, o anche un uomo di mezza età, dovrebbe appassionarsi a cose che non ha mai visto nè considerato, pure stranezze come filigrane e dentellature?
Ma il salto nel vuoto più eclatante l’ha fatto l’aspetto postale, con il passaggio dalla comunicazione cartacea a quella via cavo, etere o elettronica. La velocità di trasmissione del messaggio anche all’altro capo del mondo e di persona assicurata da telefoni, cellulari e computer ha fatto letteralmente dimenticare la lettera come mezzo di comunicazione. Persino la cartolina illustrata è diventata in breve tempo un’anticaglia sia come forma di augurio, sia come corollario turistico: con uno smartphone bastano pochi secondi per scattare una foto o girare un video e farlo arrivare a destinazione all’istante. E allora perché qualcuno dovrebbe interessarsi all’affrancatura o alle bollature di oggetti che nemmeno conosce? Perché sono in esatta tariffa espresso o posta pneumatica, oppure su un modulo per qualche servizio o con qualche agevolazionedi cui non ha mai sentito parlare?
Ma c’è anche un pro. Il nuovo millennio ha cancellato gran parte della vecchia posta, inutile negarlo, ma non la comunicazione umana, che anzi è aumentata a dismisura. Sentirsi per telefono ancora negli anni Settanta poteva essere un fatto insolito, riservato a quando c’era qualcosa di nuovo o di importante da dire, anche solo il proprio amore; oggi c’è gente, la maggioranza, attaccata quasi perennemente al telefonino o allo schermo del suo computer. Tanto che non si può nemmeno dire che oggi si scriva meno che in passato: forse si dicono semplicemente più sciocchezze e banalità proprio perchè con telefonini e computer comunicare è facile e pare che non costi.
E oggi è proprio sull’aspetto comunicazione che si deve puntare per ravvivare il nostro picciol mondo. Anzi, mi rendo conto che l’Accademia l’aveva anticipato da tempo, come si può leggere dalla definizione di questa nostra rivista: “Studi notizie e approfondimenti su Storia postale e Comunicazioni”. Dove Storia postale sta per il complesso di quanto concerne la posta, dalla normativa ai servizi, dalle tariffe alle carte-valori e alle bollature (e se non cito la filatelia è perchè fa parte della storia postale, non viceversa) e Comunicazione è tutto il resto in fatto di contatto interpersonale, dall’espressione del viso al treno e all’e-mail.
Occorre puntare sulla comunicazione, che oggi appare scontata ma che ha da sempre un’importanza basilare per la civiltà umana: per capirlo basta pensare a che cosa saremmo se improvvisamente sparissero telefoni e computer. Bisogna trasmettere ai giovani come si sia arrivati a questa facilità e velocità di comunicazione, passando dalle lettere d’argilla mesopotamiche alla posta degli ultimi sette secoli, dal telegrafo ottico al computer. Ed è una storia in cui il francobollo gioca un ruolo importante, che non si può trascurare.
Quindi smettiamola di fare propaganda al francobollo e alla filatelia, del tutto inutile oggi che manca la materia prima per interessarvisi, cioè quegli esemplari dentellati che scoprivamo sulla corrispondenza d’ogni giorno, fino a pochi decenni fa copiosa. Oggi si fa fatica a trovarli persino in posta.
Quella che occorre è una pacata opera di divulgazione, come quella che Storie di Posta porta avanti dal 1999. Una divulgazione attenta, documentata e facilmente comprensibile di tutto quanto riguarda o ha riguardato o può riguardare la comunicazione postale e telegrafica in Italia, di cui i francobolli e le altre carte-valori sono un aspetto spesso intrigante. Senza alcuna condiscendenza verso classici e rarità, definizioni non culturali ma prettamente mercantili visto che pezzi talvolta da pochi euro sono più irreperibili di una Trinacria nuova con tracce di gomma. Dedicando a ogni argomento il giusto spazio, senza eccessi di pignoleria da specializzazione. E basta sfogliare questo numero o leggerne il sommario per rendersene conto.