Ma accanto a 150 anni di francobolli e di collezionismo in crescita costante si è avuto nel mondo filatelico, a sua volta sempre più vasto e articolato ed economicamente interessante, anche un fiorire di abitudini e di pregiudizi i più stravaganti, che sarebbe ormai ora di analizzare con la dovuta attenzione, magari nell’ambito di un più ampio studio sugli aspetti sociali, culturali e politici del tempo libero, e del collezionismo in particolare. Dalle megamostre alla traccia di linguella, dai regolamenti FIP alle varietà, il campo di ricerca si presenta quasi inesauribile, e decisamente stimolante.
Ma per restare nel campo culturale proprio della nostra rivista, vorrei citare due di questi luoghi comuni – o pregiudizi – filatelici tra i più diffusi e divertenti, riguardanti lo stretto àmbito collezionistico. Uno è quello secondo cui l’unico settore veramente degno di collezione è il periodo classico, ovvero i francobolli apparsi a metà ‘800, i soli che sarebbero stati creati senza indebiti interventi da parte del collezionismo. Il secondo è il suo degno corollario – solo in apparente antitesi col primo – diffuso fra molti cultori di prefilatelia: che la vera storia postale termina con la comparsa del francobollo, dato che questo ha generato quasi subito quel collezionismo “timbròfilo” che ha alterato la vita stessa della posta.
Ora, il bello della filatelia è che ciascuno è libero di collezionare, e pensare, quel che pare. Ma esistono anche i dati di fatto, checché se ne dica: e oggettivamente, se soltanto uno osserva con attenzione e con la propria testa gli ultimi cinque secoli di vita della posta – quelli della posta realmente organizzata come servizio pubblico – si accorge subito che le cose non sono così semplici, o per meglio dire sempliciotte. Ogni periodo storico della posta ha i suoi pregi e i suoi lati deboli: e certe schematizzazioni filateliche non stanno in piedi.
I francobolli cosiddetti classici sono indubbiamente i più interessanti, o meglio quelli che più si prestano a un collezionismo squisitamente filatelico, ovvero di tipo tecnico grafico, grazie ai problemi realizzativi cui andarono incontro gli stampatori dell’epoca, soprattutto nella moltiplicazione di un unico, piccolo disegno: ritocchi, varietà costanti, tinte ecc. offrono innegabilmente un appassionante campo d’azione per chi ama questo tipo di collezionismo. Ma sul piano dell’uso postale l’interesse scema moltissimo, visto che all’epoca la gamma dei servizi era molto limitata: se non ci fosse il capitolo degli annullamenti postali a moltiplicarne le possibilità, norme e tariffe postali non offrirebbero grandi spunti di intrattenimento per il collezionista.
Questa considerazione è valida anche per il periodo prefilatelico: illustrare con lettere e altri reperti le leggi e i regolamenti postali precedenti la comparsa del francobollo porta a collezioni indubbiamente interessanti ma altrettanto sicuramente circoscritte. Se non ci fossero le bollature, e nei secoli precedenti non pochi problemi nell’interpretazione di segni e scritte postali e nella comprensione delle rotte seguite, il collezionismo prefilatelico avrebbe poco da offrire.
Senza contare che persino il concetto di intervento filatelico sarebbe da valutare con molta più attenzione. Già nell’800 in molti casi compare lo zampino dei filatelisti: tanto per restare in àmbito italiano vedasi l’uso del francobollo umbertino da 30 centesimi, praticamente limitato all’ultimo mese di validità e solo grazie a chi già all’epoca voleva metterne nell’album almeno un esemplare usato, come andava tanto di moda.
La stessa attenzione andrebbe prestata pure al concetto di antico=raro, e proprio valutando le abitudini comunicazionali delle varie epoche. Fin verso il 1870 le lettere erano costituite da un foglio piegato, su cui figurava anche l’indirizzo, e che la gente spesso conservava: in tal modo si sono salvate molte affrancature, più o meno integre, e il danno maggiore più che il tempo l’hanno fatto i collezionisti strappando e lavando i francobolli. Dal 1870 invece è subentrata l’abitudine alla busta, che molto spesso veniva gettata anche quando si teneva la lettera; e spesso se ne strappavano sùbito i francobolli, per accontentare la propria passione filatelica o qualche amico collezionista. Senza contare che proprio gli eccessivi entusiasmi filatelici hanno fatto sì che molti francobolli del ‘900, anche di normale valore facciale, siano quasi introvabili regolarmente usati e vere rarità su corrispondenze in tariffa: un discorso che non vale solo per la serie Manzoni o il Congresso filatelico, ma persino per molti valori incettati degli anni ‘60.
E poi, l’intervento filatelico non ha mai toccato la storia postale, perlomeno quella vera, dei servizi e della relativa normativa postale; e proprio questo rende estremamente vario e interessante il periodo cosiddetto moderno. Perché con l’inizio del regno d’Italia, e soprattutto dal 1889 in avanti, la storia della posta si fa sempre più ricca e appassionante, prima per lo specializzarsi delle istruzioni dovuto ai nuovi mezzi di comunicazione e alla differenziazione del personale e degli uffici, poi per l’aumento dei servizi accessori e delle agevolazioni tariffarie, e infine con l’introduzione di nuove tecnologie. Negli ultimi tempi, poi, la trasformazione delle Amministrazioni postali in Società più o meno private sta creando un sacco di trasformazioni cui si fa fatica a tener dietro: servizi che scompaiono o vengono interamente ridisegnati, tariffe sempre più semplificate, uffici con nuove caratteristiche (talvolta di brevissima durata, come le Agenzie di coordinamento), interventi sull’organico e sulla normativa. A cui in Italiasi aggiunge anche un certo caos normativo, dovuto soprattutto ai nuovi manager postali che non conoscono le vecchie regole tuttora in vigore.
Tutto questo, collezionisticamente parlando, rappresenta una fonte inesauribile di ricerca, di divertimento, di sorprese. E ne avete la prova in questo stesso numero, dove parliamo di un servizio postale recente (il P.U.) praticamente ignorato, e addirittura di una tariffa degli anni ‘50 di cui nessuno vi aveva mai parlato. Accanto ad articoli in cui i classici sono riletti sotto una luce insolita, si parla di bolli che forse non sono postali ma sono lo stesso una documentazione postale, si precisa quanto fossero interessati alla posta i viandanti d’un tempo, si sottolinea la valenza propagandistica delle cartoline illustrate.
Perché la nostra rivista vuole liberare la filatelia dei troppi luoghi comuni – o pregiudizi – filatelici, che tuttora sono imperanti. Proprio per mostrare orgogliosamente quanto interessante e meritevole di approfondimento sia questa nostra forma di collezionismo, e quanto possa andare ben oltre il puro collezionismo.
Non per nulla abbiamo inserito anche un’accurata cronaca di attualità postale. In vista del futuro. Perché, ci tengo a ribadirlo, l’interesse che ancora oggi ha una rivista come il Corriere filatelico sta negli studi (non molti) basati sulle ricerche d’archivio, come quelli del Diena, ma ancor di più in un’altra superba opera, sempre dei Diena: le Note e commenti sui francobolli italiani di nuova emissione, una vera miniera di notizie ancora a distanza di 60 e più anni. Così come un giorno il cultore di filatelia e storia postale italiana farà tesoro, più che di tante riviste “dotte”, di Cronaca filatelica, come dell’unico mensile che dal 1976 in avanti ha tenuto un diario attento e documentato sull’attualità postale, filatelica e marcòfila.
Ciò che oggi è cronaca, domani sarà storia. E noi potremo essere orgogliosi di averla narrata in tempo reale, senza pregiudizi su quale filatelia sia “alta” (quanto?) e quale più o meno “bassa”.
Franco Filanci