Panta rei, dicevano gli antichi greci. Tutto scorre, cioè cambia. Perché non dovrebbe farlo anche la filatelia? Anzi, proprio questo mutare ne indica tutta la vitalità, tanto più quando si può notare una evoluzione quasi incredibile, da mero hobby a settore commerciale fino a disciplina scientifica. Anche se proprio i più interessati, forse per il l’eccessivo coinvolgimento o la troppa specializzazione che li fa rinchiudere in un modo tutto loro e spesso asfittico, finiscono per non rendersene conto.
Hobby. Si può dire che la filatelia sia stato per oltre un secolo la forma di collezionismo-passatempo più diffusa al mondo. Anche se molti in Italia non se lo ricordano più (grazie a Poste Italiane SpA e alle sue sciagurate strategie sui “prodotti filatelici”), procurarsi francobolli è sempre stato facile e per gli usati addirittura a costo zero: nulla di meglio per cominciare e poi col tempo appassionarsi, voler avere tutto e cercare anche altro. Tanto più che, come scrive Massimo Leone, fino a pochi decenni fa i francobolli avevano una davvero notevole importanza “nella costruzione dell’immaginario”: quando ancora “le immagini con cui le donne e gli uomini venivano a contatto durante la propria vita erano molto più scarse, era possibile che il bambino come l’adulto sognassero di fronte a un francobollo, foriero di immagini nuove, inusuali, o persino esotiche” che “si imprimevano nella memoria molto più di quanto non avvenga oggi”, in tempi di televisione, internet e rotocalchi a gogò.
Oggi ad attrarre è ancora un sogno, come in tutte le forme di collezionismo, ma legato non più all’esotismo (che si trova gratis a valanghe in ogni agenzia di viaggi, se non dal vero a costi sempre più abbordabili) bensì al passato, con le valenze tipiche dell’antiquariato e ancor più con quel gratificante senso di lontananza-vicinanza, conoscenza-mistero. che sta facendo la fortuna del modernariato. E con in più tutti gli altri intramontabili sogni tipici del collezionismo — la completezza, l’affare, la scoperta, la trouvaille, la raccolta esclusiva, il pezzo unico, la medaglia d’oro, la ribalta — altalenanti fra la fortuna sfacciata e l’autoaffermazione, che il mondo ufficiale della filatelia ha persino esasperato, fra testimonial regali e gare internazionali.
Per questo la filatelia continua ad attrarre, malgrado tutto. Solo che un tempo, quando l’ultima novità italiana sui cataloghi era elencata al numero 500 o 600, si poteva fare una collezione per Paese (anche quando non aveva raggiunto l’autonomia postale da poco), mentre oggi si è praticamente costretti a limitarsi a Paesi o periodi ristretti, oppure a specifici argomenti storico postali o tematiche. Così che, pur essendo probabilmente aumentato il numero dei collezionisti e anche il loro potere d’acquisto, tutto risulta frazionato in una miriade di più o meno limitate collezioni specialistiche.
Commercio. Se un tempo le poste giudicavano le richieste dei collezionisti delle pretese, persino irritanti, e il commercio dei francobolli era molto spesso affiancato ad altri generi più redditizi (agli inizi Alberto Bolaffi vendeva in primis biciclette), in seguito il successo della raccolta di francobolli ha portato, oltre che a un interesse crescente delle Amministrazioni postali per questo loro “prodotto” esclusivo, anche all’affermarsi di una classe commerciale specifica, e in qualche caso a vere e proprie “industrie” del settore. Con contorno di periti più o meno esperti, di convegni commerciali più o meno funzionanti, e di tutte le prevedibili attrattive del caso: dalla rivista specializzata alla mostra-concorso con ricchi (e spesso virtuali) premi, dal catalogo alla pubblicità fino ai gadget della serie “cosa non si fa per vendere” tipo francobolli d’oro, bolli speciali, cartoline-maximum, passaporti filatelici e via elencando.
Anche in questo caso con notevoli evoluzioni: se un tempo pure il commerciante di pezzi rari non si peritava di corteggiare il piccolo collezionista (si veda la nota su Romolo Mezzadri, e ricordo ancora Giuseppe Gaggero in giro per convegni con mancoliste di francobolli esteri da poche lire, per far contenti i suoi clienti tematici), oggi tutti tendono a dar peso soltanto alla qualità, alle rarità, e quindi al conto in banca, finendo per dissuadere dalla filatelia proprio i più giovani che — ove non bastassero i richiami d’altro genere — non dispongono certo di grandi budget. Dimenticando che la legge della domanda e dell’offerta ha come coefficiente anche la base di potenziali persone interessate, come mostrano altri settori collezionistici — a partire dalla numismatica — in cui i pezzi unici non raggiungono né raggiungeranno mai certe cifre euromilionarie ottenute nelle aste filateliche. E senza contare che il pregio di un pezzo può anche stare altrove: il mio penny black VR non è certo perfetto, recando tracce di un bollo rosso e altre piccole manomissioni, ma per me quei danni sono una qualità visto che a causarli è stato Rowland Hill in persona, nei sui esperimenti sulle bollature.
Cultura. Anche questo è un aspetto della filatelia che è mutato nel tempo. L’esigenza di divulgare gli aspetti più interessanti del francobollo, e insieme della posta, si è fatta subito sentire e già a fine Ottocento erano apparsi anche in Italia studi e volumi di alto profilo, soprattutto storico, che portavano firme autorevoli come quelle di Emilio Diena e GiovanBattista Cresto. In seguito però questo impegno non proseguì in modo coerente: se si escludono i Diena e pochi altri, nelle pubblicazioni filateliche di gran parte del Novecento vi fu un’involuzione verso gli aspetti più specialistici (e in definitiva meno culturali) del francobollo: le variabili tecniche, le varietà d’ogni tipo, le più casuali rarità, tutte le possibili bollature, affrancature, combinazioni e relative valutazioni. Solo di recente una più corretta interpretazione della storia postale (come vera storia delle poste e non come pura convenzione a fini espositivi) ha portato a esplorare l’universo filatelia in tutti i suoi molteplici aspetti: non solo collezionistici e tecnico-grafici ma anche storici, postali (e non limitati al servizio delle corrispondenze), politici, sociali, estetici. E con un sempre più ampio ricorso — oltre che ai pezzi delle proprie collezioni — alle fonti documentarie e archivistiche, secondo un indirizzo che i lettori di Storie di Posta ben conoscono. E questo proprio mentre studiosi di altre discipline, persino in ambito universitario, cominciano a interessarsi al mondo della posta e del francobollo, non importa se passando attraverso l’epistolografia o la comunicazione. Se poi i loro risultati risultano talvolta scorretti è per il mancato ricorso all’esperienza collezionistica, troppo lontana e per loro distorta a causa della sua impostazione eccessivamente filatelica e mercantile.
Panta rei, ripeto, e si direbbe che i cambiamenti che si riscontrano oggi nella filatelia siano persino in meglio. Muta, o piuttosto si amplia, la richiesta collezionistica, specie dei più giovani. Diminuisce forse l’esigenza associazionistica visto l’aumento delle fonti d’informazione e la sempre minor tendenza all’aggregazionismo, anche solo per motivi di tempo. E cala anche il successo dei convegni commerciali, o almeno di molti, visto l’aumento dei sistemi d’acquisto alternativi, dai mercatini a internet. Ma non si riduce certo l’interesse per la filatelia (anche se ora il termine, con i suoi troppo stretti legami al francobollo, si fa un po’ stretto), la quale però ormai non significa più soltanto collezionismo, ma anche analisi e divulgazione di tutti i diversi aspetti di quei “piccoli scrigni della memoria collettiva” che sono secondo Massimo Leone i francobolli, e dell’infinito universo della Posta che li circonda. E vi pare poco?