La storia postale di cui parliamo, e che in questa rivista si tenta di portare alla ribalta, non è assolutamente quella di cui si parla normalmente nell’ambiente filatelico, soprattutto in quello ufficiale, legato a esposizioni e premi e di conseguenza alle rigide regolamentazioni della Federazione Internazionale di Filatelia, la FIP per intenderci. La nostra storia postale è esattamente quella indicata dal termine stesso, storia della posta, ovvero l’analisi e l’esposizione sistematica di fatti d’ordine organizzativo, economico, legislativo, socio-politico ecc. relativi alla posta e ai suoi servizi in un determinato ambito temporale e geografico, come direbbe un buon dizionario. Non quel qualcosa di indefinito e per questo alquanto deludente che troviamo nei regolamenti FIP: un qualcosa che vi dicono di che cosa sarebbe fatto, che cosa deve o non deve contenere, come va montata e descritta, ma che nessuno si perita di definire come si conviene, cioè sotto il profilo concettuale. Come se il buon dizionario cui accennavo prima alla voce “abito” scrivesse “insieme di stoffa e altri materiali eseguito da sarti o stilisti per la vendita, e che può essere di varie taglie, in color nero, grigio, marrone, azzurro ecc., in tinta unita, spigato, a quadretti ecc, con o senza colletto, martingala, asole…” e via descrivendo, ma senza mai dire che serve per coprire e decorare il corpo umano!
Certo, una definizione deve andar bene non solo per un libro o uno studio ma, almeno nel nostro caso, anche per una collezione. Se ci si guarda intorno si può però notare che l’interpretazione vaga e distorta, o di puro comodo, è diffusa anche nella letteratura filatelica, con volumi che sovente si fregiano nel titolo del termine “storia postale” ma poi si limitano a riportare un po’ di dati storici e qualche notizia filatelica, spesso incontrollata, al solo scopo di fare elenchi di buste con relativa valutazione commerciale: questa è comune, questa è rara, di quest’altra invece ne conosco (che spesso significa possiedo) soltanto tre, di cui una perfetta che vale 324 milioni e 550 mila lire. Manca solo la precisazione dello sconto (60% per pagamento rateale, 80 % se in contanti, con assegno o carta di credito) per completare il quadro!
Eppure anche una definizione semplice, comprensibile e seria di storia postale come forma collezionistica non è poi così difficile. Basta volerla trovare. Il buon dizionario di cui sopra riporterebbe certamente un testo del genere: Branca del collezionismo incentrata sulla raccolta e lo studio di materiali e oggetti postali e di corrispondenza, secondo una metodologia di classificazione che ne privilegi gli aspetti documentari sul piano organizzativo, normativo, geo-politico, socio-economico ecc. Perché, in parole povere, una collezione di storia postale è quella il cui interesse centrale e fondamentale è rappresentato dalla posta in tutti i suoi più diversi aspetti, esposti e mostrati attraverso una documentazione puntuale e significativa di oggetti postali e anche non postali, tutti d’epoca e strettamente pertinenti. E questo a differenza delle altre due diffuse concezioni collezionistiche: quella filatelica, in cui il principale interesse sta nell’oggetto di collezione come tale: il francobollo, l’intero postale, la bollatura, persino la busta e l’affrancatura, considerati però essenzialmente sotto l’aspetto grafico-produttivo o tecnico-statistico. E quella tematica, che concentra tutto il suo interesse sul soggetto e sul significato dei pezzi filatelici e postali raccolti, utilizzati in modo eterogeneo per illustrare i più diversi argomenti. È quello che avevo già scritto un quarto di secolo fa, ai tempi del Notiziario ASIF, e poi in modo più approfondito sul nº 141 di Cronaca filatelica: i pezzi postali in pratica possono essere gli stessi, ma ciascuna forma collezionistica li studia, li sceglie e li usa in modo e con intendimenti totalmente differenti.
Ma anche questa concezione collezionistica della storia postale è ben diversa da quella enunciata – si fa per dire – dalla FIP: che in pratica vede la storia postale come una semplice variante della consueta collezione filatelica, fatta di materiale usato anziché nuovo, e preferibilmente su busta. Come se ci fosse una netta differenza tra il mettere in fila francobolli nuovi o usati in ordine cronologico o per soggetto o in blocchi, aggiungendovi sottotipi e varietà, e il mettere in fila buste che presentano annulli in ordine alfabetico o numerico, o affrancature mono, bi o tricolori in sequenza esponenziale, magari evidenziandone tipi ed errori!
La storia postale, quella vera, dei veri appassionati, è fatta soprattutto di interpretazione: delle norme, degli avvenimenti, e anche dei pezzi, per poterli collocare nel loro giusto contesto postale e storico. E questo vale per tutto, bolli e francobolli e oggetti postali, nuovi o usati che siano. Ciò che conta è quel che significano, non le condizioni in cui si trovano; un francobollo per raccomandate è un valore emesso per un particolare uso, e quindi ha un certo significato postale, storico, socio-economico anche se quell’uso non l’ha mai svolto. È di per sé un reperto storico-postale, anche se è ancora nelle condizioni in cui la posta a suo tempo l’ha venduto: non occorre che sia usato su busta per raccontarci il suo utilizzo. Anzi, può anche accadere che nell’usato sia quasi difficile vedere le scritte distintive; e nel caso di interi e moduli postali talvolta l’esemplare nuovo comprende delle parti che mancano all’usato e che ne spiegano ancor più compiutamente l’uso.
Ma a certi alti livelli non riescono proprio a capirlo. O non vogliono. Perché se davvero lo capissero, dovrebbero eliminare la storia postale dalle classi di competizione internazionali. Perché? Il motivo è semplice: come si fa a collezionare – e ancor più a giudicare – la storia postale di un Paese se non si conosce a fondo legislazione, regolamenti e usi postali di quel Paese, e in primo luogo la lingua, per poter comprendere perfettamente normativa, indirizzi e messaggi?
In un giudizio di tipo filatelico soccorrono i cataloghi con le loro quotazioni: basta un’occhiata per sapere quel tanto che basta a giudicare alla meno peggio anche una collezione di Chamba. Nelle tematiche sono d’aiuto il buon senso e la cultura, filatelico-postale e non. Ma di fronte a una vera collezione di storia postale, dove nella maggior parte dei casi il maggior esperto è lo stesso collezionista, non c’è santo che aiuti: si fa già fatica a conoscere norme e usi postali di un periodo del proprio Paese, figurarsi degli altri! A meno di non ridurre per l’appunto la storia postale a un semplice mix di filatelia su busta più marcofilia, così che i cataloghi tornano a bastare: e un giurato internazionale tedesco può anche giudicare una collezione di “storia postale FIP” italiana senza rischiare troppo!
Così esistono due storie postali: quella vera e quella filatelica. A noi interessa la prima. E siamo lieti di scoprire che interessa anche a molti collezionisti, soprattutto a quelli più curiosi, dinamici, giovani (non necessariamente solo d’età), che amano lanciare il loro sguardo anche oltre il loro àmbito collezionistico. In cerca di sempre nuovi stimoli, e di conferme alla validità della loro scelta collezionistica. Che non può essere fatta solo di qualità, quotazioni, e rarità consacrate.
A loro dedichiamo questo numero, dove la storia postale – quella vera – fa anche sfoggio di filatelia e persino di tematica (sul tema navigazione) e ci sorprende con notizie che affondano saldamente nella storia umana e sociale degli ultimi secoli.
Franco Filanci