Il mondo cambia, sempre, ma i momenti di crisi, come questo planetario del Covid 19, accelerano e rendono ancor più evidenti i cambiamenti – climatici, sociali, finanziari, culturali – e la necessità di adeguarvisi e magari sfruttarli.
Anche la filatelia, pur nel suo piccolo, sta cambiando ed è cambiata da quello che era nel secolo scorso, quando toccava il culmine del suo successo, di pubblico e di volume d’affari. O presunti tali. Perché a volerci guardare dentro seriamente il gran numero di collezionisti, anche in Italia, non era poi così grande. Come dimostra il maxifrancobollo di Italia 85, i cui quasi 700.000 esemplari acquistati, accantonati e usati praticamente solo dai filatelisti, si sono sempre venduti e si vendono tuttora praticamente al facciale. E di coloro che si dichiaravano collezionisti, ed erano magari anche iscritti a un circolo, la maggior parte possedeva in realtà solo un classificatore con dentro un po’ di francobolli, spesso senza alcun filo conduttore, e un catalogo, o anche due o tre, per confrontare i prezzi.
Poi però allo scadere del secolo il diffondersi dell’informatica e di nuova oggettistica facilmente accumulabile ha spinto i possibili collezionisti a impegnare il proprio tempo libero in altri modi, spesso più attuali, coinvolgenti e soprattutto meno impegnativi se non addirittura a costo quasi zero. E i punti di forza della filatelia, tutti riconducibili al classico Quanto vale?, hanno finito per rivelarsi controproducenti, con le crisi economiche e sociali che hanno investito il nuovo Millennio riducendo il potere d’acquisto di gran parte della popolazione anche nei paesi più ricchi.
Ma la filatelia non è soltanto un infinito campo di quantovale. Nemmeno ai suoi inizi. Nell’Ottocento la timbromania era sì il piacere del possesso, possibilmente di tutti i diversi francobolli allora conosciuti, ma ammantati dal piacere personale di conoscere luoghi e regnanti e altre notizie di quegli stati; insomma, una normale forma di collezionismo, ma più attuale, ampia, colorata, accessibile e intrigante di tante altre, tanto da fare subito presa.
Poi però vi fu una trasformazione-deformazione conseguente alla Grande Guerra e alla consistente serie di emissioni di occupazione, controccupazione e riassetto geopolitico che ne derivò. Un diluvio di “novità”, per l’epoca, che fu una manna per la diffusione del collezionismo filatelico e la sua conoscenza, ma ebbe anche altre conseguenze non sempre positive: un’esplosione delle emissioni commemorative, spesso comprensive di alti valori e di cospicui sovrapprezzi, il diffondersi del commercio filatelico e anche di interventi mercantili molto di parte. In particolare l’affermazione della varietà come occasione di rarità facilmente accessibile a tutti, e il conseguente prevalere dell’attenzione filatelica su stampa, soprastampa, dentellatura, carta, filigrana, gommatura e in seguito di bollature e composizione delle affrancature. In pratica il prevalere dei dettagli sulla sostanza, in nome di una specializzazione del tutto formale e fine a se stessa.
Una facile esteriorità, abbordabile da chiunque abbia una lampada di Wood, un filigranoscopio, o l’attrezzatura per misurare anche i micron. Ma decisamente di interesse nullo per il pubblico esterno alla filatelia, così come il sapere che sono note soltanto tre strisce di quattro del 10 grana I tavola di Napoli o un unico caso di affrancatura mista Governo provvisorio di Toscana-Provincie Napoletane, e relative valutazioni.
Anche se ammantato dell’ammaliante qualifica di specializzazione – e in effetti per molti collezionisti rappresenta un campo appassionante di esercizio e approfondimento, per nulla da trascurare – l’esame degli aspetti tecnici delle carte-valori, dei bolli e di tutto il resto ha però proprio lo svantaggio di non interessare al di fuori della ristretta cerchia dei già filatelisti. E possono essere rari quanto si vuole, ma una coppia di francobolli non dentellata al centro, una ruota sinistra alta o un fuori registro di 3 mm colpiscono la fantasia e l’interesse del pubblico come un nonnulla travestito da niente.
Se vuol fare proseliti nel nuovo Millennio, la filatelia deve intraprendere tutt’altre strade. In particolare quella della cultura, ma in forma nuova, adeguata ai tempi, in linea con i mezzi di contatto e di comunicazione delle attuali tecnologie.
Non con libri magari illustratissimi e multicolori ma che trattano di cose ignote e senza appeal. Non con blog dove chiunque può dire la sua, ma spesso non la conosce. Non con mostre più gelide di un iceberg, fatte soprattutto per far lavorare giurati, concorrenti, e i loro fornitori. Sotto l’aspetto culturale il mondo della filatelia e della posta, che ne è la genitrice, ha infatti molto da raccontare, specie dalle nostre parti. A cominciare dalla nascita della posta moderna, e del suo stesso nome, che hanno robuste radici italiane. Banalità e oblio sono invece all’ordine del giorno, dimenticando gli illustri esempi della letteratura filatelica dell’Ottocento – in primis le opere di Pio Fabri, Emilio Diena e Giovan Battista Cresto – che mostrano quanto fosse culturalmente avanti il collezionismo dell’epoca. Forse anche per dare un fondamento di conoscenza e di scienza a quello che veniva considerato uno scocciante passatempo per monelli e persone bislacche: cioè proprio una strategia di contatto serio e autorevole con il grande pubblico.
Poi però il successo ha dato alla testa del mondo filatelico, e la conoscenza è diventata tecnicismo, spesso anche di maniera. E lo si vede spesso ancora oggi. Si parla tanto del solito penny black, e si ignora quella che è obiettivamente la prima carta-valore postale al mondo, il Cavallino sardo. Dove tra l’altro il valore è indicato come sulla carta bollata con un bollo che anticipa il francobollo. E si parla tanto di francobolli, anche italiani e preunitari, che non possono neppure lontanamente vantare i primati – sette positivi e uno negativo – del primo vero commemorativo italiano, la cartolina postale per il 25º anniversario della conquista (o liberazione) di Roma.
Qualcuno asserisce che sarebbe inutile, che la gente non legge, è disinteressata a tutto quello che è storia e conoscenza. E questo è vero per una discreta parte del mondo filatelico italiano, a cominciare da molti vip che ritengono di sapere già tutto. Ma è solo in parte vero per il mondo esterno, dove tutti mirano a fare proseliti, tanto che lo scorso luglio a Roma all’inaugurazione del G20 della Cultura il direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco, ha detto che “i luoghi della cultura devono raccogliere la sfida di formare le nuove generazioni con un modello di didattica nuovo che sappia far dialogare materiale e immateriale e che porti tutti a frequentare con assiduità, e non sporadicamente, le gallerie espositive; l’obbiettivo deve essere quello di venire percepiti come laboratori di innovazione, fondamentali per uno sviluppo armonico della società, un nuovo Umanesimo digitale.”
Un Umanesimo digitale che si fa fatica a scorgere in filatelia, dove gli esempi di utilizzo del web sono o per la gran parte commerciali o normalmente aridi, freddi, con una comunicatività sottozero, invitanti come una caramella al branzino: articoli molto tecnici, da specialisti, oppure files di vecchie riviste o documenti vari senza la minima nota esplicativa che aiuti chi non è un topo da biblioteca.
Per interessare le nuove generazioni, e anche le meno nuove, oggi fra l’altro occorre far riscoprire il francobollo, e per estensione la posta, di quand’era un pilastro sociale ed economico, ed esistevano servizi come l’espresso e la posta pneumatica, di cui a malapena si ricordano i più anziani, ma che restano importanti. Nella percezione comune, gli oggetti sopravvissuti al flusso della storia – come i francobolli e le corrispondenze che raccogliamo – sono legati al passato, ma non tutti sono consapevoli della loro forza e dell’influenza che esercitano all’interno della società attuale. Sono proprio le generazioni contemporanee che ne fanno uso e che ne determinano l’utilizzo all’interno della società, rendendo i manufatti, seppure antichi, sempre comprensibili e addirittura flessibili alle necessità dettate dalla contingenza. Ma per parlare alle generazioni contemporanee occorre un forte impegno, e qualche aiuto convinto, non di maniera. Non quelli fragorosamente verbali di vip filatelici e politicanti, che “Parlano, ma non fanno niente”, com’è sbottata persino la regina Elisabetta unendosi al “bla bla bla” di Greta Thunberg e dei suoi milioni di giovani seguaci.
Occorre intraprendere un reale riformismo del mondo filatelico puntato sulla cultura, la storia, la deontologia, che miri a inserire la filatelia in un processo di trasformazione della società che è costantemente in divenire persino in fatto di tempo libero (che a dire la verità è in aumento). Perché la realtà muta ogni giorno per conto suo, e l’umanità è costretta a inseguirla, non riuscendo quasi mai a pensare a strategie e soluzioni di lungo termine.
Anche in filatelia bisogna saper volare, e volare alto, non solo alla bassa quota di rarità, prezzi e tecnicismi.