Una filosofia, quella di Storie di posta, intesa a dare alla filatelia e alla storia postale la dignità scientifica che un secolo di propaganda filatelica — tanto appassionata quanto amatoriale —ha finito per cancellare non solo presso il largo pubblico ma persino e soprattutto presso gli studiosi di materie che nella storia della posta e del francobollo potrebbero (e dovrebbero) trovare interessanti spunti, rimandi, documentazione.
E proprio nell’ambito di questa sua filosofia editoriale, Storie di posta giudica da sempre prioritari i temi iconologici. Basta riprendere in mano il numero uno del 1999 per trovare recensiti i libri di Ilario Principe e di Fabio Bonacina che affrontano l’aspetto esteriore del francobollo in termini nuovi, ben lontani dagli schemi di lettura a cui ci hanno abituati la filatelia tradizionale e il collezionismo tematico.
Il francobollo infatti è e resta un simbolo centrale del nostro sapere. Che molti ci invidiano. Basta far caso al crescente impiego dei francobolli in contesti extra filatelici. E può persino sembrare strano che questo fenomeno di diffusione caratterizzi proprio il periodo a cavallo dell’anno 2000 in cui le amministrazioni postali, convinte ormai di poter far cassa con “prodotti filatelici”, si vanno attrezzando per far sloggiare i francobolli dagli altri sportelli, almeno in Italia.
Noi comunque siamo pronti anche a questo. Sul valore dei francobolli — come segno — ci siamo soffermati più volte, notando pure la frivolezza di certa storia postale che ruota intorno alle mostre filateliche marcate Fip e snobba gli esemplari ‘nuovi’.
Su questa sorta di gemmazione culturale da nuovo millennio s’innesta la commozione per una minor presa che la filatelia tradizionale (come fenomeno collezionistico) ormai esercita sull’opinione pubblica.
Già hobby dei re (e dell’alta borghesia cosmopolita) la filatelia oggi ha perso un po’ di smalto. Ma non è un dramma. Ci vorrebbero però restauri e spunti nuovi. Proprio nei momenti di passaggio — legati qui alla necessità di traghettare il sapere nel nuovo secolo — risulta strategico investire in cultura.
Occorrono strumenti più incisivi, capaci di far presa sul pubblico colto ormai convinto che un hobby degno della sua considerazione debba rispondere a criteri più rigorosi di quelli della tradizionale filatelia, ancor oggi basata su schemi tardo ottocenteschi. Proprio ciò che Storie di posta tenta di fare, ma che dovrebbe partire, o almeno essere supportato, dai vertici dell’ambiente filatelico sia collezionistico che commerciale. Nell’interesse di entrambi.
Per questo ci pare indispensabile — oltre che corretto postalmente — far conoscere in Italia l’opera di David Scott nella quale ci siamo imbattuti quasi per caso mentre tallonavamo Aby Warburg, precursore dell’iconologia filatelica. Che un professore dell’università di Dublino abbia investito così tanto in filatelia risulta evento letterario straordinario che coincide con i principi ispiratori di Storie di posta.
Finalmente un docente di materie umanistiche che ha saputo mettere a punto un modello — una poetica — per trattare i francobolli, ineccepibile dal punto di vista del rigore e così perfetta che tutti ce ne possiamo servire.
Anche noi siamo orgogliosi di marciare sotto il tricolore irlandese. Noi che abbiamo sempre osservato con disagio i lagunari della filatelia e certi loro vessilli ricamati con versetti da guerra santa del tipo “non siamo professori universitari”.
La lezione di Scott giunge in Italia con tre saggi tradotti per Storie di Posta. Iniziamo da questo numero con La semiotica del francobollo, ripresa dal periodico francese “Communication & Languages” del 1999. Seguirà a ruota uno studio dedicato all’immagine etnografica pubblicato nel 2002 sulla rivista canadese “Protée” per concludere con un saggio sul francobollo come luogo della memoria culturale, apparso l’anno scorso sull’americana “Semiotica”.
Il nostro programma è ambizioso, come si conviene alla rivista di un’Accademia. Storie di posta infatti non vuole solo far sentire il lettore orgoglios di essere filatelista, ma tende anche a proporsi nel nostro paese come punto di riferimento per questo genere di studi e perciò intende coinvolgere professionisti della ricerca.
Certo, l’auspicio è che David Scott prenda a cuore l’Italia e trovi un po’ di tempo per visitarne i francobolli; nel frattempo lui stesso ci ha messo in contatto con alcuni suoi allievi italiani. Aspettiamo che si scaldino i muscoli e scendano in campo visto che a Dublino si sono già dovuti cimentare col tema.
Ad uno di questi giovani ricercatori che lavora a Scienze della comunicazione nella facoltà di Lettere e filosofia di Siena (e che ci è stato vicino) abbiamo chiesto una breve introduzione. In pochi accattivanti paragrafi, con intelligenza e rifuggendo ogni antipatico distinguo di scuola, il dott. Massimo Leone introduce inediti punti di riferimento disciplinari e delinea un avvenire radioso al francobollo.
Per parte nostra, ci è gradito porgere il tutto ai nostri lettori — in particolare ai fedeli abbonati — pensando a quanto bene possono fare queste traduzioni ai cultori di storia postale o di filatelia tematica. Gli strumenti semiotici sono preziosi e la nostra rivista è aperta ai contributi seri.
Non facciamoci spaventare dal linguaggio che al primo colpo può anche generare sconcerto. Rileggiamoci tutto con calma. Per esperienza possiamo dire che basta poco per interiorizzare concetti e una terminologia senza i quali poi non si riesce a stare. Sono gioielli di chiarezza le pagine del prof. Scott. Un grande maestro dunque in tutti i sensi. Che noi — ben devotamente — ringraziamo.
Anche perchè se con l’interpretazione dei sogni Sigmund Freud diede il via alla psicanalisi, influenzando ampiamente la scienza e la cultura del Novecento, riconducendo la logica a una scienza dei segni, tutti da interpretare, Charles Sanders Peirce ha posto le basi della semiotica, altra importante disciplina affermatasi nello stesso secolo. E che non guasta conoscere, almeno a grandi linee, o per quel tanto che basta per studiare da un nuovo punto di vista i nostri francobolli.
Così come non guasta certo imparare che cosa fosse l’ora d’Italia, o scoprire che cosa ci facesse un ospedale da guerra al Quirinale, o avere un quadro più approfondito ed esauriente di quel che offrono i cataloghi sui servizi di posta organizzati dai Comuni durante le ultime guerre. Temi fra l’altro che suonano quasi di attualità.
Anche per chi non ha ambizioni universitarie vale sempre l’antico consiglio “Impara l’arte e mettila da parte”. Se non altro come antidoto a una pochezza culturale di tipo televisivo attualmente fin troppo in auge, dove solo ciò che fa audience o che si presume possa generare reddito pare abbia il diritto di circolare e persino di essere insegnato.
Clemente Fedele e Franco Filanci