Giorni fa mi è capitato tra le mani il mio primo catalogo di francobolli, di quando guardavo mio padre sistemare la sua nuova collezione d’Italia aiutandolo a preparare taschine fatte con un pezzetto di cartoncino nero e un po’ di cellofan, roba da giurassicollezionismo. È un Catalogo Sassòne (sì, con l’accento sulla ò fin dalla copertina!) datato 1949 e ancora firmato dal “Dott. Luigi Sassòne, Perito Filatelico presso la Corte d’Appello di Milano e presso la Banca d’Italia, Iscritto nel ruolo consiliare dei Periti e degli Esperti Camera di Commercio di Milano, Membro del Sindacato Interprovinciale Periti Esperti Estimatori, Milano”, che è divertente e anche molto istruttivo esaminare dopo 70 anni.
A colpire qualche diversità d’impostazione: ad esempio gli Antichi Stati che cominciano con le Due Sicilie, oppure Territorio libero di Trieste, Città del Vaticano e San Marino (esattamente in quest’ordine) a fine volume, dopo Colonie e Possedimenti. E soprattutto le quotazioni, che erano effettivi prezzi di vendita della Ditta Sassone “comprensivi dell’imposta generale dell’entrata”. Prezzi su due sole colonne: per il * nuovo e l’usato. E nel divertirmi a leggere le quotazioni (in lire ancora con virgola e decimali) di 70 anni fa, le cifre che a tutta prima hanno fatto scattare il mio interesse sono state quelle del 100 lire Democratica: 120,– nuovo e 25,– usato.
Sorprendente soprattutto le 120 lire del nuovo, ovvero solo il 20% in più del facciale. E una rapida occhiata agli altri valori allora in corso, compresi quelli di Trieste, del Vaticano e di San Marino, mi ha confermato che quel 20% era la regola generale. Anzi, mi ha fatto ricordare che tale percentuale era in vigore in campo filatelico ancora vent’anni dopo, e non solo per le novità: anche in caso di vendita a un commerciante si doveva rinunciare a un 20% della quotazione indicata dai cataloghi, almeno per i pezzi e le serie di normale richiesta e circolazione. In pratica il 20% era un normale margine di guadagno per gli operatori in campo filatelico di allora. Ovvio che sia fra i commercianti che tra i collezionisti ci fosse sempre qualcuno che tentava di ottenere un po’ di più a proprio vantaggio, ma il punto di partenza restava quel 20%. Io stesso, per permettermi le mie prime vacanze in Grecia, cedetti a Bolaffi alcune serie di Vaticano allora molto richieste, spuntando poco meno del prezzo di catalogo.
Oggi invece le ultime novità d’Italia, San Marino e Vaticano approdano sui cataloghi a 2 volte e mezza il facciale, che in percentuale rappresenta il 250%! E chi prova a vendere si sente offrire, in caso di francobolli e serie di un certo pregio, cifre che partono dal 50% e scendono verso il basso, quando gli va bene. Anche in questo caso senza parlare dei furboni, come quello che mi raccontano sia arrivato a offrire 25 euro per un Gronchirosa! In pratica e da tempo il margine di guadagno in campo filatelico ha ormai superato il 100%; e a livello ufficiale, dove non si possono aggirare tasse e spese varie, ha raggiunto il 150%!
Ma come si è giunti a un simile salto? Grazie all’arrivo della modernità, a partire dagli anni Ottanta, con il suo imperativo del tutto e subito e il più possibile che portava qualcuno a dire – scherzando ma neppure troppo – che se non si incassava almeno un milione al giorno si era degli sfigati. Una strategia che si avvaleva della graduale scomparsa dei vecchi operatori, in genere ex-collezionisti abituati al tranquillo commercio del passato, e faceva breccia nei nuovi operatori, soprattutto quelli entrati in scena al tempo del boom e che dei francobolli sapevano tutto, ma solo in fatto di prezzi, linguelle, nuove specialità e presunti investimenti.
Ma è una storia che lascio raccontare ad altri, più esperti di me in fatto di commercio e di evoluzione del marketing così come applicato – si fa per dire – al mercato del francobollo dalle sue componenti. Quel che qui mi interessa è valutarne gli effetti nella situazione filatelica attuale in cui molti parlano di crisi, e che invece secondo me è solo un riposizionamento del collezionismo dovuto alle mutate condizioni socio-economiche.
In un’epoca in cui le sollecitazioni all’acquisto, allo svago e ad ogni altro aspetto della vita quotidiana sono migliaia e in continuo aumento, la filatelia si presenta come un’occasione tardona, ben poco stimolante e gratificante, per spendere il proprio tempo (e soprattutto il denaro) e per esprimere la propria personalità. Anche per il fatto che la filatelia ufficiale continua a puntare tutte le sue carte su rarità, qualità ed esclusività: come un tempo ormai lontanissimo, in cui i modelli erano re, presidenti e grandi artisti, i francobolli erano una presenza quotidiana, e quelli di pregio o si ammiravano dal vivo o ci si doveva accontantare di riproduzioni sgranate in bianco e nero sui pochi libri e riviste in circolazione.
Ora i modelli di vita sono chi urla più forte e riesce a tenere la scena più a lungo possibile, non importa in che modo, anche i francobolli d’uso più comune sono una rarità a vedersi (i più giovani neppure sanno che cosa siano) e chiunque può rimirarsi pezzi più o meno rari a colori e a pieno schermo comodamente sul suo computer. E allora perché impegnarsi in filatelia? Perché spenderci soldi e tempo? Why Buy, perché comprare, per usare il termine della nuova formula di vendita introdotta nel mercato automobilistico.
Il pazzesco margine di guadagno vigente in filatelia è tra l’altro la massima, indiscussa espressione di un mercato ormai fuori mercato. Come criticare il crescente ricorso dei collezionisti alle vendite via web, malgrado i rischi che talvolta presentano? E come lamentarsi dei prezzi di catalogo e dei loro ribassi, destinati a continuare all’infinito se non si trova il modo di incidere veramente sul loro mercato, quando anzi per mantenere le quotazioni si pratica l’escamotage di ridurre i quantitativi accettabili in base a una qualità suprema al limite dell’assurdo?
Tra l’altro i prezzi in crescita sono un’attrattiva che non fa più presa su nessuno, a parte pochi creduloni. Tanto più considerando i circolanti margini di guadagno del 50 e più per cento: anche un favoloso pezzo con valore di catalogo 400 euro, e che oggi posso ottenere a 300 euro, a che quotazione di mercato dovrebbe arrivare perché io possa almeno riprendermi i miei soldi? Minimo minimo dovrebbe salire a 700 euro che, anche considerando un poco credibile incremento annuo del 10%, quanti anni richiederebbe? Sai che affare, che bell’investimento!
Persino un bis del Gronchirosa in realtà non sarebbe granché per il collezionista, se non in fatto di autogratificazione; anche per un cultore di quartine l’apparente affare sarebbe ridotto da quel pazzesco margine di guadagno ufficializzato dal mercato, senza contare la spesa di tutte le altre novità in blocco di 4 comprate fino a quel momento, anche al facciale, che nessuno vuole.
Lo stesso aspetto culturale del francobollo, così come vive a livello ufficiale e sul mercato filatelico, non rappresenta un incentivo per il collezionismo filatelico. Da un lato si continua a parlare del francobollo come mezzo per conoscere altri mondi e altre storie (in tempo di viaggi superscontati, di Wikipedia e di social networks?!) e dall’altro persiste una classe commerciale che non favorisce minimamente la diffusione dell’editoria filatelica, un po’ perché rende poco in termine di percentuale e di numeri, un po’ per la vecchia diceria che “è meglio mettere i soldi in francobolli”, e un po’ persino per il timore di far conoscere ai propri clienti l’esistenza di altri possibili fornitori, presenti su libri e riviste con la loro pubblicità.
Con l’assurdo commerciale che persino sconti, promozioni e offerte speciali non hanno più senso: come è possibile ritenere allettante anche un 30-40% in meno, quando girano offerte da suq che superano il metà prezzo? Hai voglia a porre dubbi sulla qualità. Tanto più se sei tu il primo a fare lo schizzinoso parlando sempre e solo di illinguellati con perfetta centratura e dentellatura, senza dimenticare la conservazione.
Come uscirne? Non so, e non tocca a me trovare soluzioni in campo commerciale. Io osservo, constato e faccio notare, e se anche conosco il marketing e le sue regole non sono portato al commercio e alle sue astuzie, e per serietà mi astengo dal fare proposte. Tanto più che quando le ho fatte non ho ricevuto riscontri: anzi, qualcuno ha detto che sono capace solo a criticare, segno che non ha mai letto quel che scrivo. Oppure l’ha letto ma senza capirlo, perché scrivo difficile, come continua a dire qualcun altro.
L’importante è uscire da questa situazione, in cui a comandare sono degli apprendisti stregoni che ricordano un brano del classico di Walt Disney Fantasia: con Topolino che, sulle travolgenti note di Paul Dukas, per non faticare a portar acqua dà vita a una scopa, e finisce travolto da uno straripante gorgo di acqua causato da miriadi di indistruttibili scope. Ovvero come qualunque cosa a questo mondo – filatelia compresa – anche la magia va praticata con intelligenza, senza pensare solo al vantaggio immediato ma valutandone anche le possibili conseguenze nel tempo.
Franco Filanci
Storie di Posta volume 19 nuova serie - maggio 2019