Ho concluso il mio ultimo editoriale, sei mesi orsono, con una dichiarazione alquanto propositiva – come mio solito, anche se pare siano in pochi ad accorgersene – e pertanto piuttosto complessa: che “se la filatelia vuole continuare a vivere felice deve cambiare il suo punto focale: non più la banale figurina-francobollo ma gli oggetti della comunicazione, completi di eventuale francobollo ma soprattutto delle loro caratteristiche di servizio sociale ed economico, oltre che espressioni di vita quotidiana e testimoni della storia degli ultimi secoli. Oggetti di posta ma anche di telegrafo, radio, telefonia, e-mail in cui convivono francobolli, bollature, modulistica, e il loro contesto: analisi e non semplice descrizione di oggetti, che tra l’altro forniscono tonnellate di spunti per una ricerca e/o una collezione davvero ‘comunicazionale’: appassionante, gratificante, e per tutte le tasche.”
Ho poi scoperto che alcuni hanno preso il mio elzeviro per la solita e più o meno trita propaganda alla storia postale. Senza accorgersi che era soltanto la logica, anche se insolita e personale conclusione di una analisi della storia, delle tradizioni, dei risultati e delle prospettive del collezionismo filatelico dopo un secolo e mezzo di vita: vita quasi tutta puntata sul valore venale, sulla rarità, sulle transazioni e sui grandi collezionisti, in pratica sull’apparenza invece che sulla sostanza.
Ora, che io sia un appassionato di storia postale, con classificatori e cassetti stracolmi di pezzi viaggiati, modulistica postale e quant’altro possa documentare la posta, penso sia noto, se non altro da tutto quanto ho scritto e continuo a propinare ai lettori: una caratteristica fra l’altro di chi negli anni Sessanta ha vissuto in prima persona la scoperta (o meglio la riscoperta, conoscendo le opere del Diena, del Cresto, del Maury, di Robson Lowe) della storia postale, quando persino gli esperti e i vip del momento ti prendevano in giro perché invece che di dentellature, filigrane e quotazioni parlavi di tariffe, affrancature, interi postali e magari di cose inedite come l’assicurazione contro i rischi di forza maggiore (magari a uno che ne stava esponendo uno splendido esempio, ma senza saperlo, solo perché il pezzo comprendeva qualche francobollo raro a vedersi su busta).
Ma non era mia intenzione fare pubblicità alla storia postale, anche se l’advertising è stata la mia professione e l’attuale filatelia ne avrebbe un gran bisogno. Proprio perché ho vissuto in prima persona quella riscoperta della storia postale – fin dall’inizio intesa nel suo senso più letterale e autentico, con la caccia non solo ai pezzi ma pure a leggi, decreti, regolamenti e via leggendo – non ho mai abbandonato anche il collezionismo tradizionale di francobolli e altre carte-valori postali, nelle loro svariate forme e caratteristiche di stampa, dentellatura, filigrana e confezionamento: ma collegandole sempre alla loro natura e alla loro ragion d’essere, cioè la funzione postale. Per questo ho sin dall’inizio osteggiato la definizione della Fédération Internationale de Philatélie (meglio nota come Fip) sul collezionismo di storia postale, che non ammetteva la presenza di esemplari nuovi: il francobollo è di per sé un reperto di storia postale, e magari ne documenta un particolare importante proprio nella vignetta, che un annullo pesante o un affastellamento di esemplari potrebbe impedire di notare e apprezzare nel modo dovuto (ricordo a un’esposizione filatelica internazionale un’importante collezione storica sulla prima emissione di Argentina dove non sono riuscito a capire che cosa cavolo figurasse su quei francobolli malgrado il gran numero di lettere presenti, tutte accuratamente e pesantemente obliterate).
Il francobollo è intrinsecamente un reperto di storia postale, in qualunque stato sia: è questa mia convinzione – direi certezza – che volevo ribadire. Nelle sue molteplici espressioni, adesivo o prestampato sugli interi postali, tradizionale o evoluto per favorirne l’uso (libretti, affrancature meccaniche, automatici e tp-label) o il collezionismo (foglietti, formati e materiali strambi, fantasiose combinazioni), il francobollo è stato, è e può restare importante per quello che ha saputo essere come mezzo di pagamento postale e come espressione di un’Amministrazione postale solitamente governativa, e quindi di uno Stato e della sua politica.
Servizio postale e istituzionalità, queste le ragion d’essere del francobollo e di tutte le carte-valori postali, almeno fino a non molto tempo fa, quando il loro uso era effettivo. Due fondamentali motivazioni a cui la filatelia ha aggiunto due importanti motivi di interesse: la presentazione artistica, grafica e materialmente tecnica (bozzetto, stampa, dentellatura, materiali utilizzati) e la commerciabilità, notevolmente elevata grazie alle dimensioni contenute, alla diffusione, alla facilità di reperimento (un tempo anche a costo zero) e all’interesse collezionistico.
Purtroppo l’interesse commerciale ha fatto sì che il valore di mercato diventasse la principale motivazione del francobollo, e il classico Quanto vale? il primo quesito quando la gente si trova di fronte a un francobollo. Il valore di mercato, reale o supposto, e il conseguente corredo di argomenti come rarità, pezzi unici, qualità, centratura e via sottilizzando: tutte argomentazioni del tutto comprensibili e accettabili, fra l’altro tipiche del collezionismo di qualsiasi oggetto o genere. Ma valide soprattutto in passato, quando il mercato non offriva granché con cui trascorrere il tempo o esibirsi, e la gente per elevare il proprio status si sentiva in dovere di imitare la nobiltà e i personaggi noti (anche se nella realtà comportamenti e linguaggio della gente altolocata non erano poi così raffinati come si era portati a ritenere): in filatelia i reali di Gran Bretagna ed Egitto e il presidente Roosevelt, immancabilmente citati. Argomentazioni che però hanno finito per prevalere su ogni altra, con articoli e volumi che trattano e presentano rarità d’ogni tipo, spesso infarciti di catalogazioni e valutazioni per nulla essenziali (ci sono cascato anch’io con il Novellario!), quotazioni persino per varietà di scarsissimo impatto e interesse, oltre a cronache di transazioni a gogo.
E poi ci si chiede perché calano gli appassionati e scarseggiano i nuovi adepti, fra tutti i giovani.
Purtroppo sono in molti, troppi, a non capire che i favolosi anni Sessanta sono passati da un pezzo, con le loro false promesse e cocenti delusioni che hanno finito per segnare grottescamente la filatelia a livello popolare. Così come è finito da un pezzo anche il Novecento, con le sue abitudini e sicurezze conquistate grazie alla scienza e all’evoluzione sociale e di mercato. Oggi il valore è giudicato per quello che è: una componente, una delle tante che scandiscono e condizionano qualsiasi argomento, fatto e problema della nostra vita quotidiana.
Una componente che non può essere divulgata come plus o esclusiva. Una Ferrari o una Rolls-Royce non si compra solo perché è carissima, roba da milionari: oltre al denaro vi sono l’eccellenza tecnica e produttiva, la fama inesauribile, lo status. E lo stesso vale per un campione di calcio o un attore: le cifre multizero che li distinguono non sono mai l’unica giustificazione dell’acquisto, poiché non sempre rendono quanto si era previsto.
Anzi, il valore può rappresentare un aspetto negativo della filatelia, e non solo perché le disponibilità finanziarie pare si stiano riducendo sempre più per la gran parte della gente, specie i giovani: i costi della filatelia, anche nelle sue forme più popolari, sono molto più elevati rispetto ad altre forme di collezionismo e di svago, sovente persino più seducenti, spettacolari, attuali, di moda.
Come plus esclusivi il nostro collezionismo ha ben altri atout, come ho detto prima: il servizio postale, ovvero la storia della comunicazione umana che precede l’e-mail; l’essere un valore dello Stato, che ne garantisce l’affidabilità anche come realtà storica e documentale; gli aspetti grafici, artistici e tecnici, che spesso hanno risvolti affascinanti quanto quelli strettamente postali; e persino un mercato diffuso come nessun altro hobby al mondo. Questi sono i plus su cui puntare, forse meno facili da illustrare ma anche meno faciloni e di breve durata. Plus da sviluppare in ogni forma possibile, in modo attuale, coerente e senza pregiudizi sulle forme di raccolta: filatelica, storico postale, tematica o come cavolo mi pare.
L’importante è non attendere le soluzioni dall’alto, come il mondo filatelico ha quasi sempre fatto usando il verbo bisognerebbe; soluzioni che dovrebbero arrivare da un presumibile dio Mercurio che non solo ha ben altro da fare, ma non saprebbe neppure da dove cominciare, ignorando la realtà del bislacco mondo filatelico dove – a forza di parlare di rarità, qualità e valore – il grande esperto è colui che ha avuto per le mani tanto materiale, non chi ne sa davvero più degli altri.
Come recita il detto? Aiutati che il ciel ti aiuta? E allora diamoci da fare. Anche nel nostro piccolo, ognuno si impegni nel far conoscere il francobollo, ma in tutte le sue forme e i suoi plus. Parlandone però dopo averlo conosciuto per davvero; anche solo previa lettura dei consueti approfondimenti e delle scoperte di questo numero di Storie di Posta.