È tipico del collezionismo occuparsi di cose del passato. Un passato che però in filatelia arriva fino a stamattina, visto che la gran parte dei collezionisti raccoglie anche – se non soltanto – le ultime novità. Ma mi accorgo sempre più che lo fa senza badarci, senza minimamente considerare come con l’inizio del nuovo millennio siano mutati il mondo della posta e quello filatelico, e lo stesso francobollo di cui fanno uso e collezione.
La posta, quella italiana in particolare, si è radicalmente trasformata: in pratica ha mantenuto solo il nome e qualche divisione destinata a corrispondenze, pacchi e francobolli. Per il resto si è trasformata in banca, tra l’altro del tutto unica in quanto a capillarità, grazie alla presenza di uffici postali quasi in ogni comune. E anche il servizio prettamente postale si è ridotto all’essenziale, in nome della praticità e della funzionalità, come mostra il confronto fra i tariffari d’una volta (anche solo gli anni Novanta) e quello attuale, che ha fra l’altro ridotto non solo i distinguo e la necessità di istruzioni e controlli ma anche l’esigenza di decine di valori differenti per consentire le più diverse affrancature, nel raro caso che non si usino le tp-label.
Una trasformazione che ha colpito al cuore lo stesso francobollo, anche se nessuno in filatelia pare volersene accorgere. Il francobollo, che fino a tutto il Novecento è stato un pilastro della posta, lo strumento basilare per pagare i servizi di comunicazione e trasmissione postale, e che col tempo aveva anche acquisito una funzione politica e collezionistica, col nuovo millennio ha completamente invertito le sue funzioni: è diventato un oggetto politicollezionistico che ha anche un uso postale, per chi non può o non vuole recarsi in un ufficio di posta, magari perché è semplicemente chiuso. Ancora valido, seppure non basilare come in passato, ma del tutto differente nell’essenza.
Differente anche da un altro punto di vista. Un tempo c’erano varie tipologie di francobolli: ordinari, commemorativi, espressi, di posta aerea, adesivi e impressi su cartoline, biglietti e altri interi postali, spesso in serie con dieci e più valori diversi. Oggi praticità, semplificazione e globalizzazione hanno ridotto il campo al solo francobollo che celebra qualcosa, qualunque cosa, con un’unica tiratura e con un valore che non si scosta molto dall’importo B. Ed è un cambiamento di cui nessuno si rende conto, neppure a livello governativo.
Molto differente, soprattutto in Italia, anche il suo modo di presentarsi. Le nuove emissioni, che un tempo servivano a tener viva l’attenzione sulla filatelia e la stessa passione filatelica, ormai sono una valanga, o peggio un tran-tran quotidiano di scarsissimo interesse. Così che la varietà e l’ampiezza dei temi trattati e delle diverse declinazioni filateliche (FDC, maximum, folder, varietà, ecc.), che un tempo erano un vanto e un’esclusiva del francobollo, ora sono una mastodontica palla al piede del collezionismo, a cui ruba sia disponibilità finanziarie che spazio, come si vede dai cataloghi filatelici diventati negli ultimi tempi monumentali, o meglio dei monumenti ai caduti sotto il peso delle novità oltre che delle specializzazioni.
Già, perché il collezionismo filatelico non muta, almeno in quanto a mentalità: è ancora fermo ai tempi in cui le nuove emissioni erano scarse, e si faceva di tutto per moltiplicare gli esemplari da mettere nell’album, con un’attenzione perfino eccessiva (definita specializzazione) a differenze anche minute nel disegno o nell’incisione, nella dentellatura, nella filigrana, nella carta, nei colori, nelle diciture marginali e persino – in base al bambinesco concetto dell’io ce l’ho e tu no! – nei confronti dei difetti di stampa, soprastampa o dentellatura, compresi i più mostruosi. Una specializzazione che ha coinvolto anche la storia postale di stampo filatelico (vedasi l’attenzione per le affrancature multicolori, miste, multiple ecc.) e che non solo rende gran parte della filatelia una semplice fiera della casualità, ma porta a moltiplicare le pagine dei cataloghi con una lunga casistica che interessa ben pochi (oltre ad essere per sua natura incompleta) abbinata a quotazioni del tutto ipotetiche se non cervellotiche, essendo raramente basate su dati oggettivi, numerici o di mercato.
Non muta nemmeno la vecchia mentalità popolarfilatelica di considerare quello del francobollo come un ambiente venalmente finanziario, un mondo a sé dove il concetto dominante è Quanto vale?, coniugato sia generalmente che temporalmente (Quanto vale oggi?). Un pianeta dove i francobolli, così come tutti gli oggetti e timbri postali collezionabili, sono suddivisi e sistemati in base a rarità e prezzo, e non a un effettivo interesse storico, politico, artistico, grafico o sociale tale da giustificarne la ricerca e l’eventuale spesa per averli.
La cultura, di cui tanto si parla nei momenti ufficiali, è del tutto assente. Persino in quella comunicazione che dopotutto è alla base della storia delle poste di cui il francobollo è una tappa essenziale. E si vede dagli assordanti silenzi, se non dalle inesattezze, con cui la nostra materia è trattata (soprattutto non trattata) da studenti e studiosi di altre discipline, malgrado la posta sia stata un elemento addirittura fondamentale nella vita e nella società degli ultimi due secoli. Giorni fa sono incappato in una corposa e accurata tesi di laurea sulla concessione italiana di Tianjin, o Tientsin, basata su un’esaustiva bibliografia di un’ottantina di pubblicazioni, anche cinesi, oltre ad alcuni cinegiornali d’epoca e numerose fotografie. 189 pagine in cui però figura solo una brevissima citazione dell’ufficio postale, senza il minimo approfondimento, e i francobolli italiani con soprastampa Tientsin sono del tutto ignoti e ignorati. E se in altre opere più o meno accademiche compare qualche cenno ai francobolli, è facile accorgersi che tutto ciò che l’autore ha letto proviene da un catalogo.
Il che dimostra il ruolo che ha assunto il catalogo in filatelia, ma non solo positivamente. Nato con la funzione di guida per il collezionista, di strumento per organizzare una raccolta anche in base alla spesa necessaria, col tempo il catalogo filatelico si è trasformato in perfetto listino, di una borsa spesso più nominalpersonale che realistica. Soprattutto è diventato un mezzo di coercizione culturale e collezionistica: in pratica la filatelia reale, a cui si deve rifare il mondo del commercio e degli appassionati, è quella che viene rappresentata dal catalogo, attraverso le sue numerazioni, le sue immagini, i suoi prezzi.
Coercizione collezionistica, perchè i numeri interi in neretto indicano materialmente i francobolli che devono figurare in una collezione che voglia considerarsi completa. E questo è alla base dell’elevazione di certe varianti di incisione, colore, filigrana o dentellatura allo status di francobollo-tipo, in base a criteri che variano da un settore a un altro, da una pagina all’altra, ed evidentemente in funzione di imporne l’acquisto. Un passaggio di grado (e ovviamente di prezzo) che nell’ultimo mezzo secolo ha interessato anche alcune varietà clamorose (i cosiddetti naturali) e non pochi saggi che, solo per essere talvolta su carta filigranata o dentellati, improvvisamente sono stati elevati al rango di non emessi.
Coercizione culturale, perchè è stata imposta col tempo una discriminazione tra i diversi francobolli e tra le loro possibili condizioni frutto del tempo, esacerbando quelli che sono i comprensibili desiderata del collezionista. Ognuno di noi è affascinato dal passaggio del tempo, che comporta (o dovrebbe comportare) anche una maggior difficoltà di reperimento, e quindi una maggior rarità. Ma è distorcente vedere i cosiddetti classici in formato naturale o persino ingrandito, con trattamento fin nei minimi dettagli e a piena pagina, e quelli più recenti ridotti ai minimi termini e allo strettissimo necessario. I francobolli sono tutti uguali, e semmai vanno trattati in base all’interesse concettuale e non in base all’età o al prezzo, se si vuol fare una sana filatelia.
E la coercizione indotta riguarda anche le condizioni degli esemplari: è istintivo avere il meglio, ma questo non può essere un elemento prioritario, fondamentale e discriminante, come si vede e legge in continuazione, anche tramite stellette, sigle e note.Con la qualità irreprensibilmente supercalifragilistichexpiralidosa non si mette soltanto fuori gioco gran parte delle collezioni e degli stock di un tempo; si allontana chiunque possa essere interessato alla filatelia ma non abbia grandi riserve auree, e soprattutto pensi al francobollo come una cosa davvero interessante, non una figurina.
Già, il conto in banca. Perchè per affrontare il primo secolo di emissioni in Italia occorre avere una certa disponibilità anche accontentandosi in fatto di qualità e veleggiando fra nuovo e usato. E di questi tempi i quattrini da dedicare a tempo libero, passatempi e passioni varie sono sempre meno per la maggior parte della gente. Così che voler propagandare la filatelia facendo perno su rarità e qualità sa di paranoico.
Ma un certo mondo filatelico non sa o non vuole comprendere neppure questa evidenza “commerciale”; figurarsi avere un approccio realmente culturale con il francobollo. E si tengono ben stretti a quel loro baluardo che è il catalogo, con i suoi numeri coercitivi, delle quotazioni magari assurde (così poi si gioca sugli sconti!) e tutti i controsensi, gli errori e le porcherie collezionate nell’ultimo secolo.
Per far rifiorire la filatelia nel nuovo millennio sarebbe forse ora di ripartire da capo. Facendo ovviamente da soli, cioè per tre.