Francobolli? No, questi non sono francobolli. Sono delle improbabili imitazioni, o meglio delle figurine IPZS talvolta persino gradevoli ma in cui tutto suona fasullo, dai simil dentelli fustellati (del tutto inutili in un autoadesivo) fino alla lettera A o B inquadrettata in una mezza dozzina di varianti, corrispondenti a vari prezzi e tariffe che però nessuno è in grado di indicare su due piedi, nemmeno a Poste Italiane SpA.
Non sono più francobolli, né da un punto di vista postale, essendo stati da tempo sostituiti dai loro discendenti tecnologici, molto più funzionali, ma neppure sotto il profilo collezionistico, avendo perso ormai da mezzo secolo anche molte delle attrattive che li avevano fatti apprezzare dai filatelisti: facile reperibilità, anche sulla posta d’ogni giorno, costo contenuto (se non gratis), vignette attraenti in epoche non ancora sommerse dalle immagini.
Colpa anche dell’abitudine del mondo filatelico di trattare i francobolli – tutti i francobolli, dal penny black in avanti – come delle figurine. Semplici pezzetti di carta stampata, sciolti o in serie, rari o comuni come da catalogo, di cui considerare vignette, loro varianti e difetti d’incisione, misure dell’eventuale dentellatura, tipi di filigrana e tutti i possibili accidenti che possono capitare a uno stampato, oltre alle possibili quantità e combinazioni di valori e colori qualora siano ancora attaccati a un supporto. Nient’altro che figurine, dove un Trelire di Toscana è alla pari di un Luigi Pizzaballa della serie calciatori Panini e di un Feroce Saladino del concorso Buitoni-Perugina. Del fatto che fosse in uso in due soli uffici postali, del taglio elevato e dei possibili impieghi, del periodo di validità e di altri aspetti postali mai che se ne parli; e pure gli scritti sono latitanti.
Ed è proprio questa concentrazione sui soli aspetti esteriori e tecnici del francobollo che finisce per decretarne la caduta d’interesse già a fine anni Sessanta, quando le cose iniziano a cambiare vistosamente sul piano postale come su quello collezionistico. Il boom della filatelia dà infatti modo a molti di scoprire questa forma di collezionismo e il suo indubbio interesse commerciale, ma il conseguente sboom ne mette in luce la fragilità quando trasgredisce alle regole di un normale e sano collezionismo. Nel frattempo le tecniche produttive sempre più avanzate consentono di produrre francobolli per il 90 per cento privi di quelle possibili varianti di stampa, carta, dentellatura che da sempre affascinano i collezionisti di queste figurine, facendo sognare possibili e favolose trouvaille. Certo, la tecnologia introduce anche elementi nuovi come la fluorescenza o la gomma vinilica, pronte a sfornare nuove specializzazioni filateliche, ma la presa sui collezionisti è ridotta, stante la minima visibilità e quindi godibilità di tali componenti. E ci si mette anche il marketing delle Amministrazioni postali, non solo ponendo una crescente e interessata attenzione alle esigenze dei filatelisti, ma sfruttando sempre più le possibilità offerte dal confezionamento delle emissioni (foglietti, minifogli, blocchi con vignette diverse, bandelle, scritte e illustrazioni marginali, formati e materiali insoliti) fino a inventarsi prodotti coinvolgenti come i libretti di prestigio o le emissioni congiunte. Il tutto mentre in Italia la validità illimitata finisce per togliere fascino anche al collezionismo degli usi postali, almeno per la parte moderna dal 1967 in avanti.
Ne deriva un francobollo protagonista di una filatelia di maniera, che non sa rinnovarsi e anche quando parla di storia postale si limita all’aspetto esteriore, quanti e quali francobolli compongono l’affrancatura e quale annullamento.
È una filatelia finalizzata alla “completezza” e alla rarità invece che all’approfondimento culturale, sempre più divisa tra classico e moderno, tra materiale che “fa fino” collezionare e roba che si raccoglie più per abitudine che per convinzione.
Ma non è nulla rispetto a quanto avviene sul finire del secolo e l’inizio del terzo millennio. Perché entrano in campo non solo tecnologie imprevedibilmente nuove ma anche politiche globali per molti aspetti stravolgenti. Come quella che riguarda proprio le poste.
Nel 1994 viene mandata in pensione (a 134 anni) la vecchia Amministrazione postale, la cui unica prospettiva pare essere un vistoso aumento del deficit, per lasciare il posto a un Ente pubblico economico che rimetta un po’ le cose a posto sotto il profilo economico, in modo da poterla trasformare nel febbraio 1998 in Società per Azioni, peraltro sempre sotto controllo statale. Ma è una SpA che, per quanto riguarda le carte-valori postali, ha solo il compito di venderle, non di produrle e nemmeno di intervenire a livello decisionale. Cosa che non turba Poste Italiane SpA, a cui proprio la parte postale, obbligatoria solo per il cosiddetto “servizio universale”, ormai interessa poco o niente rispetto agli aspetti bancari e alle possibilità offerte da una rete vendita estremamente capillare.
Infatti le due prime operazioni di Poste Italiane SpA sono quelle di ottenere una riduzione al minimo delle voci del tariffario (così che nel giro di pochi anni non si parla più di cartoline postali e illustrate, stampe, servizio espresso, postacelere ecc.) e semplificare al massimo l’affrancatura, che con i francobolli richiede troppo tempo, lavoro e impegno.
Due le soluzioni, rapidamente introdotte quasi in contemporanea con l’arrivo dell’euro, il 1º gennaio 2002. La prima è la tp-label, il nuovo francobollo tecnologico stampato dallo stesso ufficio postale con tutti i dati della spedizione: ufficio di partenza, numero frazionario, data e ora, valore dell’affrancatura, eventuali servizi accessori, il tutto in versione autoadesiva e senza bisogno di annullamento nè di controlli contabili. La seconda è l’impronta Postatarget, un moderno “porto pagato” a cura degli stessi mittenti per spedizioni multiple di stampati, a un prezzo concordato che è meglio non far sapere in giro.
Per il francobollo è l’inizio del tracollo, che si innesta su quello della stessa comunicazione postale, travolta dall’istantaneità offerta da telefoni cellulari e computer, sempre più diffusi e sempre meno onerosi. In pratica il francobollo da mezzo di affrancatura diventa una palla al piede sia per Poste Italiane SpA che per i suoi addetti al servizio postale, causa le necessità di bollatura, controllo e contabilità che fanno a pugni con l’esigenza di non sprecare tempo e lavoro, che sono danaro. Tanto che ne viene persino vietato l’uso fuori dai confini del servizio universale, si abbandonano i segnatasse (recuperare anche qualche decina di cent viene a costare troppo) e si lascia ai postini che ne avessero voglia l’incombenza di usare la biro per rendere inservibili i francobolli sfuggiti all’annullo.
L’adozione dei francobolli autoadesivi nel 2012 non basta a invertire la tendenza; anzi, anche senza tener conto dell’indispensabile supporto plastico (che ha un costo), si finisce per irritare i collezionisti a causa delle difficoltà nel trattare l’usato. Proprio quei collezionisti che col passar degli anni stanno diventando gli unici acquirenti-utilizzatori del francobollo. E questo sia per la sua scarsa reperibilità – dalle tabaccherie è praticamente scomparso a causa della scarsa remunerazione che offre, e persino negli uffici postali si fa fatica a trovarne – sia perché presso il largo pubblico lettera e francobollo stanno diventando sempre più oggetti del passato se non del tutto sconosciuti.
Ma questa eclissi del francobollo non produce solo un effetto sulle tirature, per un sessantennio di Repubblica normalmente milionarie e ora ridotte a 200mila esemplari (commemorativo della Biblioteca universitaria di Torino). Ne risente soprattutto la filatelia che è rimasta ferma al francobollo-figurina, ormai utile quasi esclusivamente a produrre bollettini illustrativi, fdc, folder, tessere filateliche e altre trovate da collezione. Francobollo-figurina che non interessa nemmeno gli appassionati di storia postale moderna, visti gli scarsi utilizzi postali possibili e soprattutto le difficoltà di utilizzo causate dal valore in A e B. Infatti se la lettera da spedire supera il primo porto o richiede una tariffa diversa dal B che si ha sottomano, come si fa oggi a completare l’affrancatura? Esistono ancora dei francobolli di piccolo taglio? Oppure ve la sentite di chiedere all’impiegato di calcolare il mancante e sfornare una tp-label integrativa?
No, signori miei! Se la filatelia vuole continuare a vivere felice deve cambiare il suo punto focale: non più la banale figurina-francobollo ma gli oggetti della comunicazione, completi di eventuale francobollo ma soprattutto delle loro caratteristiche di servizio sociale ed economico, oltre che espressioni di vita quotidiana e testimoni della storia degli ultimi secoli. Oggetti di posta ma anche di telegrafo, radio, telefonia, e-mail in cui convivono francobolli, bollature, modulistica, e il loro contesto: analisi e non semplice descrizione, come credo di aver fatto in questo corsivo. Oggetti che tra l’altro forniscono tonnellate di spunti per una ricerca e/o una collezione davvero “comunicazionale”: appassionante, gratificante, e per tutte le tasche.
Come mostrano vari articoli anche di questo cinquantatreesimo numero di Storie di Posta.