Giochetti da catalogo

Negli ultimi trent’anni alcuni editori di cataloghi ne hanno scoperto un possibile ulteriore utilizzo: come mezzo per imporre francobolli, oltre alle relative quotazioni. Con il risultato non solo di alterare il mercato ma anche di “svogliare” il collezionista.
Non è infatti detto, come asserisce qualcuno, che le difficoltà accentuino la passione: forse qualcuna può far sognare che un giorno…, ma se son troppe diventa un campo da Paperoni, e gli altri svicolano.

I francobolli che “devono” entrare in collezione

Nei cataloghi, dacché esistono, ogni francobollo è distinto da un numero intero, sebbene col tempo, per non rifare la numerazione in caso di spostamenti e integrazioni, sono stati adottati anche numeri seguiti da lettera maiuscola. E con gli anni si è consolidato il concetto che una collezione completa è quella che comprende tutti gli esemplari-tipo, ovvero i titolari di un tale numero.
Di qui l’idea di alcuni mercanti di aggiungerne altri: saggi, varietà e altri pezzi anche meno nobili se non vere e proprie patacche (alcuni segnalati in altri articoli) che vengono inseriti con vari titoli di pura fantasia, come “non emessi” o “sperimentali”, tutti con un numero pieno seguito al massimo da lettera maiuscola. In questo modo diventa un francobollo a pieno titolo di entrare in tutte le collezioni e, trattandosi di pezzi tirati in non molti esemplari, il suo prezzo schizza subito alle stelle.
Come difendersi? Recuperando un catalogo degli anni ’60-70 (magari il mitico “Bolaffi 58”) e controllando chi c’era e chi non c’era prima di questa bella furbata. E soprattutto prima di fare incauti esborsi. Perché certi saggi di non emessi sono una passione per molti collezionisti, certe varietà molto meno, il resto un rischio assoluto. E comunque è il collezionista che deve decidere. Senza imposizioni catalogiche.

La gomma vergine

E’ stato il primo caso di forzatura commerciale attuata attraverso i cataloghi. Un modo per ridurre i pezzi commerciabili in circolazione e quindi farne lievitare il prezzo. Infatti se di un francobollo esistono in circolazione 50.000 pezzi in tutto, il prezzo è 100, ma se li divido in linguellati e illinguellati il numero di questi ultimi scende a 20.000, e la quotazione sale di conseguenza a 200. Se poi convinco la gente che solo l’illinguellato è degno di raccolta, la cifra sale ancora più su.
A goderne sono soprattutto i commercianti improvvisati: è più facile controllare la verginità di una gomma che valutare un linguellato in base alle tracce più o meno vistose di linguella. Ma con vari sgradevoli risultati collaterali, a cominciare dal fatto che i linguellati sono diventati invendibili da parte di tutti, collezionisti e vecchi commercianti (per fortuna da qualche anno le cose stanno cambiando) con immobilizzazione di oltre la metà del patrimonio filatelico. Per finire con le manipolazioni da parte di “esperti” nel ridare verginità alle gommature che l’avevano persa, spesso in modo all’apparenza perfetto: ma chi li compra è certo che fra vent’anni il trucco non venga a galla per conto suo? Specie per i vecchi francobolli più pregiati, che a suo tempo finirono in maggioranza in collezione (allora la linguella era d’obbligo, e si sceglievano i più belli), c’è da fidarsi di fronte a un classico illinguellato e magari centratissimo?

La qualità

Visto il buon funzionamento del giochetto della linguella, negli anni successivi è stato lanciato il giocarello della qualità. Stavolta senza quotazioni apposite ma con percentuali a fine serie o, peggio ancora, con tabelle introduttive che nessuno controlla e che finiscono solo per favorire i più furbi.
In queste “tabelle” sta infatti scritto che il prezzo di catalogo è riferito al francobollo con centratura, conservazione, eventuale bollatura e dentellatura o margini ottimali se non ideali. Invece la “normale prima scelta” (come si diceva un tempo), ovvero il normale francobollo bello secondo le tecnologie produttive dell’epoca, vale esattamente LA META’, così sta scritto. Ma dato che nessuno legge, soprattutto le introduzioni, finisce che il francobollo di normale prima scelta venga solitamente venduto a pieno prezzo, cioè come un pezzo super, anche se con un po’ di sconto “da amico”.
Come difendersi? Leggendo bene anche le prefezioni, chiavi di lettura e relative tabelle iillustrative, e chiedendone l’applicazione al venditore che usa quel catalogo.


La centratura superideale

E’ l’ultimo giochetto tirato fuori dal cilindro del catalogatore, simile a quello dell’illinguellato ma con effetti più devastanti: di certi vecchi francobolli viene data una quotazione supersupersuper per gli esemplari con centratura perfetta. Con la motivazione pubblica che sono pochi, ed è vero. E con la motivazione fra colleghi che finora il cliente sceglieva il pezzo più bello pagandolo come “normale” anche se aveva una centratura ottimale, mentre così per i pezzi davvero perfetti deve mettere in conto di pagare di più, anzi molto di più, e quindi molti finirebbero per comprare quelli normali. Il che è pura retorica, perché nella realtà il cliente normale, un po’ per scocciatura e un po’ per non sbagliare, non acquista. Già il collezionista è di base diffidente in fatto di qualità: di norma è elevatissima quando compra, bassissima quando vende, soprattutto se si tratta di francobolli pregiati. Quindi preferisce lasciar perdere. E proprio la parte più pregiata della filatelia finisce, salvo poche eccezioni, per restar ferma negli album e negli armadi.
Come difendersi? Primo, tornando alla pratica del raziocinio: in certi periodi la centratura era più o meno imperfetta nel 90% dei casi, così che una serie da granpremio sa persino di fasullo tanto è incredibile: più che un pezzo di storia sempra un trucco digitale di Avatar. E’ logico che si scelgano i pezzi migliori, ma cum grano salis: meglio avere tutto, anche se la qualità non è al ciento per ciento, e gli esemplari sono anche un po’ nuovi e un po’ usati ma tutti belli e leggibili. E per riuscirsi basta acquistare da commercianti seri, che si comportano come quelli d’un tempo, facendovi scegliere il meglio in quel momento disponibile al normale prezzo di catalogo: e che al massimo vi chiedono il pieno prezzo se le serie è molto ben centrata rispetto agli standard dell’epoca, e vi fanno invece un po’ di sconto se la centratura lascia a desiderare. E poi, il bello del collezionismo è anche quello di poter trovare in futuro un pezzo ancora migliore.


Le quotazioni per far contento qualcuno

Le quotazioni dei cataloghi sono troppo alte, si sente dire sovente anche da certi esperti. Ma in realtà è vero e non è vero, o meglio è un falso problema. Sarebbe meglio dire che col tempo le quotazioni dei cataloghi si sono atrofizzate. A forza di rielaborarle ogni anno su quelle dell’anno precedente, e a tener conto di quanto scrivono i colleghi cataloghisti nonché dei giochi commerciali in corso, spesso di breve durata (giusto il tempo per qualcuno di fare un buon affare), si è finito per perdere il senso della realtà iniziale, così che francobolli del tutto simili e coevi che un tempo avevano lo stesso prezzo oggi sono quotati l’uno il doppio dell’altro, o viceversa. Il risultato è che se vi sono esemplari sovraquotati ve ne sono anche molti sottoquotati.
Occorrerebbe fare una revisione integrale e coscienziosa delle quotazioni tenendo conto ex-novo di tutte le variabili che compongono un prezzo, a cominciare da tiratura, quantitativi esistenti, richiesta dei collezionisti e risultati di aste. E lasciando invece da parte gli interessi di questo o quel mercante che su una certa serie ci ha giocato e che ora deve dimostrare ai suoi acquirenti che tiene, anzi va benissimo, anche se è vero il contrario. Perché un catalogo può servire anche a questo: far godere la propria fedele clientela, quella più danarosa s’intende. Mostrando ai propri clienti (o ai clienti dei propri azionisti, che fa lo stesso) che il pezzo o le serie che hanno comprato sono ottimi scalatori: salgono sempre. A costo di quotare persino pezzi unici che solo al momento dell’aggiudicazione in un’asta trovano il loro prezzo (che però in un’asta successiva può anche essere contraddetto se gli interessati sono pochi e magari tirchi!), mettendo cifre che con il passar degli anni diventano sovente ridicole, come 33.750 o 78,250 euro. I cataloghi seri del passato nel caso di francobolli rari con scarso mercato mettevano un trattino o al massimo una cifra in corsivo, puramente e largamente indicativa.